di EnricoVilla
Il latte, anche per i dolci e il formaggio e l’ortofrutta, due fulcri della filiera agroalimentare, esempio per la moderna organizzazione di mercato caldeggiata dalla Pac in vigore per un quinquennio fino al 2020 in tutta Europa. La Coldiretti , che ha promosso da anni la stipulazione dell’alleanza prodotti agricoli-industria di lavorazione, ne ha fatto un riferimento anche nella presentazione dell’agroalimentare in corso all’Expo 2015, in atto in queste settimane.
Ma dietro i due colossi dell’industria piemontese di trasformazione stanno due mondi verdi, base della produzione e del lavoro regionale che, talvolta, si tende ad ignorare o non a considerare. Nel frattempo la Ferrero, vorace di latte al prezzo giusto e di nocciole, da Alba è diventata un leader mondiale della trasformazione che non ignora marketing e finanza mentre la Saclà dal 1939, anno felice per l’industria agroalimentare piemontese, è diventata un polmone di assorbimento dell’ortofrutta di Cuneese e di Torinese. Recentemente è stato rinnovato l’accordo formale fra Ferrero e produttori di latte che una pubblicazione Coldiretti ( Il Coltivatore cuneese diretto da Michelangelo Pellegino) ha definito Filiera virtuosa fra la Compral Latte e la Ferrero . Delia Revelli, la giovane donna presidente di Coldiretti di Cuneo sul rinnovo dell’accordo di filiera si è espressa così: La coooperativa Compral Latte, costituita nel 2009, oggi annovera 300 soci e riceve al giorno 3.500 quintali di latte per un valore di produzione annua pari a 60 milioni di euro. Cifre importanti -prosegue la Revelli- quelle generate da questo accordo economico di filiera che ha portato importanti benefici a tutto il settore lattiero caseario piemontese. E Enzo Pagliano, direttore della Federazione, ha completato in questo modo: viene anche valorizzato il rapporto fra i componenti della filiera stessa, in una prospettiva di sviluppo e di programmazione. Tale progetto è un esempio virtuoso, quindi, che oltre a garantire la tracciabilità, la trasparenza e l’elevata qualità del prodotto, merita di essere presentato ad Expo 2015 come fiore all’occhiello del modello agricolo Made in Piemonte”.
Altrettanto importante è la convenzione fra Saclà, Società Anonima per il commercio e la lavorazione di generi agroalimentari fondata nel 1939 dalla famiglia Ercole astigiana e i produttori ortofrutticoli piemontesi, in particolare delle aree cuneesi, torinesi e anche del Piemonte Orientale. Già settantacinque anni fa i fondatori della Saclà intuirono quello che negli scorsi anni Settanta sarebbe stato un leit motiv della Coldiretti: ritirare i prodotti del territorio a chilometro zero, nonché secondo la stagionalità evitando di reperire i generi agro alimentari troppo lontani, costringendo ad attuare l’acquisto con una logistica generatrice di inquinamento ambientale. Non soltanto: l’alleanza fra industria di trasformazione disposta a pagare i prodotti ad un prezzo equo e l’agricoltura che necessita per la qualità di assistenza tecnica, valorizza il territorio e le coltivazioni come – è solo un esempio fra i tanti – dal 1932 sostiene la risicoltura, altra branca importante del Piemonte. I peperonri, i pomodori e altri vegetali da cucina del territorio si trasformano in sottoaceti a disposizione per tutto l’anno dei consumatori, negli anni progressivamente migliorati dalle tecnologie agroalimentari. E questo avviene puntualmente per i prodotti conservieri i quali vanno dai condimenti come il pesto ad altri generi di complemento gastronomico, sempre più graditi al consumo.
Anche per l’ortofrutta, come per il latte ritirato dalla Ferrero dalle stalle piemontesi, contano le cifre e le distaccate valutazioni economiche. In uno dei recenti convegni importanti sul settore, svoltosi al Circolo della Stampa di Torino e organizzato dalla Regione Piemonte, l’importanza ortofrutticola regionale è stata quantificata dai relatori al convegno in questa maniera: il settore strategico per l’economia agroalimentare piemontese, che trova i suoi punti di forza nella qualità e nell’innovazione con un buon andamento delle esportazioni e l’orientamento ad adeguarsi alle mutate abitudini di consumo: sono questi gli elementi caratterizzanti . E le statistiche regionali, anche certificate dal CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara , che segue il comparto, assai importante nel nostro Paese e nel’area mediterranea) confermano. Lo spaccato ortofrutticolo regionale, tracciato al convegno, è in questi termini: superficie impegnata di 51.273 ettari, che rappresentano il 5% della superficie agricola totale piemontese, ma che hanno un peso al 15% in termini di produzione ai prezzi di base ( oltre 500 milioni di euro)il cui nerbo è costituito da 6.000 aziende, delle quali 700 impegnate nella coltivazione di patate, e 10.800 specializzate nella frutticoltura, cioè mele, pesche e nettarine, kiwi, albicocche. Anche la mascherina statistica riferita alle province piemontesi di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbania, Vercelli evidenza una realtà interessante: frutta fresca, frutta con guscio, legumi, orticole, patate dove primeggiano le province di Alessandria, Asti, Cuneo, Torino, con qualche eccezione a Novara e Vercelli per la frutta fresca e i legumi, fra l’altro importanti a Saluggia e a Villata per primi piatti della gastronomia locale a base di riso. L’organizzazione nazionale dei mercati ortofrutticoli, talvolta influenzati nella conduzione da presunti elementi dell’agromafia, in parte taglia fuori il patrimonio ortofrutticolo piemontese, per cui i frutti imangono a marcire sui meleti e sui pescheti regionali. Le cose andrebbero diversamente se l’agroalimentare trovasse finalmente la forza di arrivare a stipulare accordi multipli come con la Ferrero di Alba e la Saclà di Asti.
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