di Enrico Villa
Un pollo arrosto in confezione conteneva molto zucchero. La scoperta, una delle tante, ha nuovamente riproposto il controllo degli zuccheri negli alimenti che “nascostamente” contengono sugar incolpato di aumentare il peso patologico e l’obesità della persona media europea. E che hanno ancor di più aumentato l’importanza delle etichette sugli alimenti, avviata alla fine del 2014 con la nuova normativa prima europea e, quindi, dei 28 partner europei. La circostanza del pollo zuccherato anche richiama la vicenda in Europa delle etichette semaforo, poi messe fuori legge, ma in Gran Bretagna introdotte per segnalare ai consumatori cibi contenenti grassi e altri ingredienti contrari alla salute, incolpati di provocare malattie che determinano costi sanitari del cittadino medio europeo, affetto da peso eccessivo e da obesità, secondo la medicina e i ministeri della
Sanità causa delle neoplasie più drammatiche.
L’attenzione per tutto quanto sta dietro alle scritte precise delle etichette, è massimo sia nella Commissione di Bruxelles e che nel Parlamento di Strasburgo, tanto che l’Efta di Parma – l’agenzia UE sulla sanità degli alimenti e de suoi contenuti – ha fissato 222 ingredienti che, entro il prossimo dicembre, dovranno comparire sulle etichette. Questa massa di 222 prodotti e integratori alimentari è stata approvata ad ampia maggioranza dal Parlamento di Strasburgo, suscitando più di una perplessità sulle categorie agroalimentari e sui dicasteri della Sanità e dell’Agricoltura di numerosi stati membri. Infatti, le norme restrittive, come del resto già le etichette semaforo, inglesi, condizioneranno i piani strategici delle industrie alimentari, più di un tempo basati sulla tecnologia alimentare e sulla biologia nonché sulle tradizionali territoriali le quali, in una misura non contrarie alla sanità, debbono tenere conto delle regole e delle certificazioni scientifiche.
L’introduzione della rivoluzione delle etichette, anche guardate con perplessità dai consumatori, inizialmente hanno suscitato avversione da diverse centrali della grande distribuzione. Però gli studi e le osservazioni, in parallelo con la giurisprudenza della Corte di Giustizia comunitaria, hanno fatto concludere in questo modo: le etichette convengono anche alla grande distribuzione perché favoriscono l’acquisto responsabile dei consumatori, inoltre spingendoli ad operare raffronti fra i diversi brand e le caratteristiche alimentari di diversi cibi inducendoli a scartare gli alimenti meno pregevoli a favore di quelli più pregevoli. Questo riflesso psicologico e mercantile sembra favorito dalle offerte speciali oggi in grande voga nonché dallo stallo dei consumi accentuato dalla scarsa propensione degli acquirenti i quali stanno anche coinvolgendo la produzione. Il futuro non si prospetta in modo incoraggiante, complicato recentemente anche dalla rivoluzione arancione avviata dall’INPS secondo la quale – anche stando ai calcoli degli economisti dell’Università La Bicocca di Milano – i futuri pensionati si dovranno adattare a percepire trattamenti pensionistici ridotti al 50% rispetto agli attuali stipendi. Non solo. Secondo una inchiesta trimestrale di Confesercenti e di SWG, il 56% delle famiglie (acquirenti della grande distribuzione) segnala ancora una situazione di disagio, con un 42% che si dice insoddisfatta, e il rimanente 14% che può affrontare i prossimi mesi e anni con qualche tranquillità. Stando alla sua documentazione ufficiale, Coldiretti di Roma batte e ribatte sul tasto delle origini e della trasparenza sui cibi, rispecchiata sulle etichette precisamente e senza alcun infingimento. Coldiretti – è un commento qualificato degli osservatori di mercato – è stata a tutti gli effetti l’unica associazione a spingere in tal senso. E a proposito della citazione del prodotto altri organi hanno chiesto invece un obbligo ma in sede europea. Va subito chiarito – è la valutazione degli osservatori di mercato – che lo stabilimento di produzione è uno dei vari modi di garantire trasparenza in etichetta, e che non può ovviamente sostituire l’indicazione della materia agricola, semmai la completa. La riflessione vale anche per il riso di importazione dal Sud-Est asiatico. Il made in…farebbe cadere equivoci mettendo in considerazione gli stabilimenti di confezionamento e di trasformazione di evitare spiacevoli accuse. E, alla fine, l’indicazione di provenienza si risolverebbe in una produttiva operazione di marketing.
Il tema delle etichette, quale testimonianza di assoluta trasparenza, sta maturando in diversi Paesi europei aderenti alla Ue e che si rifletteranno sulle decisioni del Parlamento di Strasburgo: Germania, Olanda, Svezia, anche Svizzera e, oltreoceano, Stati Uniti. La prova di quello che sta succedendo si trova nello scorrere i titoli dei più importanti organi di stampa europei: ad esempio sul pesce e sulle confezioni, delle insalate e delle verdure che appartengono alla categoria dei prodotti di IV gamma o di alimenti più difficile da digerire. Sarà vietata l’indicazione “non digeribile”. Infatti, l’affare è del consumatore salutista e della sua educazione alimentare e, come ha accertato una ricerca Nielsen, il 48% de consumatori sta cercando di perdere peso e il 78% si è imposto una dieta rigorosa. Le etichette leggibili e comprensibili aiuteranno, anche sostenendo i bilanci sanitari in fatto di malanni cardiolologici e altre neoplasie.
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