Del riso non si getta nulla, neppure la paglia. Anzi, questo scarto può diventare un patrimonio oppure un problema. Dipende dagli usi. Se ne è parlato a Fiera in Campo, la rassegna organizzata dai Giovani di Confagricoltura che ogni anno si svolge a Caresanablot (Vercelli), durante la presentazione del «Progetto RicEenergy: sviluppo di filiere innovative per la valorizzazione energetica delle paglie di riso», finanziato dalla Regione Piemonte. Il dibttito, moderato da Paolo Balsari (Università di Torino) ha messo a confronto ricercatori dello stesso ateneo e dell’Ente Nazionale Risi. Undici gli anni di sperimentazione, in due aziende vercellesi (Mosca e Garrione). Risultati incoraggianti e contrastanti, a lcentro la gestione delle paglie, i loro effetti benefici e quelli negativi sull’ambiente. Innanzitutto l’interramento in autunno: questa pratica migliora la produzione, riduce il ricorso ai concimi e l’inquinamento. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: la risaia in sommersione e nella quale si è fatto uso della paglia sprigiona metanogenesi e metanotropia. In altre parole: rilascio di gas metano (20 per cento delle emissioni del gas serra). Insomma – sostengono i ricercatori – paglia e acqua insieme sono <una coppia assassina>.
E allora che cosa fare delle paglie di riso? Il Progetto RicEnergy propone l’alternativa: utilizzare la paglia per una valorizzazione energetica. In altre parole: destinare gli scarti alla produzione di biogas o pellet, riutilzzando come fertilizzante parte della lavoraizone: il digestato, che torna nei terreni della risaia. i ricercatori (Ente Risi e Università di Torino) hanno notato che l’assenza delle paglie abbatte l’emissione di gas metano e che le arature primaverili, là dove è stata interrata la paglia, creano maggiori problemi gassosi.
You must be logged in to post a comment Login