Il gorgonzola di Coletta, una tesi da 110 e lode

Di Gianfranco Quaglia

La Latteria Sociale di Cameri (NO), eccellenza dell’agroalimentare italiano, è uno dei “santuari” di produzione e stagionatura del gorgonzola Dop. Un esempio di coesione agricoltura-trasformazione, che ha saputo coniugare il passato (oltre 110 anni di storia), con presente e futuro, senza mai tradire i fondamentali dell’artigianalità e della tradizione, imponendosi sui mercati domestici e stranieri (in particolare quello francese e non è da poco).

Questi presupposti hanno sicuramente colpito Coletta Crespi, di Busto Arsizio, già direttrice della filiale di Cameri di BPM-Banca Popolare di Novara. Tanto da stimolarla a conseguire una laurea (la seconda, dopo quella magistrale con lode in economia aziendale) in marketing, management e economia d’impresa con una tesi specifica su “L’eccellenza dell’agroalimentare italiano. Cameri, la latteria sociale e le aziende agricole” (anche questa 110 e lode). Relatore la professoressa Cinzia Genovino. Una “case history” scandagliata in tutte le sue sfaccettature, dalla produzione della materia prima con le aziende agricole che conferiscono il prodotto alla Latteria, sino alla realizzazione dell’erborinato che dopo la stagionatura nelle celle esce per essere immesso sui mercati o sui banconi dello spaccio per la vendita diretta al pubblico.

Ma rappresenta anche un atto d ‘amore e di empatia che la dottoressa Crespi, ora in servizio a Legnano, in Lombardia, non ha dimenticato. Anzi, i rapporti professionali coltivati durante l’attività di dirigente bancaria nel centro del Novarese l’hanno spinta e incoraggiata ad affrontare il secondo percorso di studi, scegliendo il caseificio per redigere la tesi. Forse la prima volta che accade nel “Pianeta Gorgonzola”. Coletta Crespi ha sviluppato un’approfondita trattazione sull’argomento, dedicando studi, storia, grafici, istogrammi, immagini, e ha firmato una tesi che testimonia il lavoro di agricoltori e trasformatori uniti da passione, dedizione, cura. Non si è limitata a consultare le carte; si è immersa nella latteria, accolta con entusiasmo dal presidente Fiorenzo Rossino e dal direttore Gianpiero Mellone, che l’hanno accompagnata nel viaggio sul campo, anzi nelle celle di stagionatura, mettendole a  disposizione tutti gli strumenti necessari e essenziali per toccare con  mano i processi della lavorazione.

Ne è scaturito uno spaccato socio-economico di un caseificio che per oltre un secolo di vita è passato indenne attraverso difficoltà e guerre.

(L’Analisi del 31 marzo 2025)

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Tea, dalla presitoria al futuro: un’idea di riso

Tea è la donna più antica della Sicilia, la Trinacria. La nostra antenata vissuta tra 14 e 11 mila anni fa, nel Pleistocene superiore, i cui resti sono stati ritrovati negli anni Trenta ad Acquedolci (Messina). Secondo gli storici e gli antropologi che ne hanno ricostruito la fisiognomica, Tea era una “principessa preistorica”, la nonna di tutti i siciliani e non solo. Una figura matriarcale, sacrale, venerata, che guardava al futuro. Il suo nome è riecheggiato nelle sale del Circolo dei Lettori di Torino, dove si sono tenuti gli incontri di Coltivato, il Festival internazionale dell’agricoltura voluto da Maria Lodovico Gullino. Si è trattato di un riferimento, un’assonanza con le TEA (Tecniche di evoluzione assistita) di cui si è parlato e dibattuto nell’incontro “Anche il riso è come noi”, relatrici Natalia Bobba presidente di Ente Nazionale Risi e Vittoria Brambilla, biologa molecolare e genetista delle piante. Il titolo è rivelatore: il cereale di cui si nutrono i due terzi della popolazione del pianeta è soggetto a stress, proprio come gli esseri umani. Così ha ricordato Natalia Bobba, imprenditrice risicola del Novarese ai vertici dell’ente di tutela quasi centenario. Per difendere il riso dagli attacchi esogeni che ne minano lo sviluppo (patogeni e infestanti) soltanto la ricerca può fornire un aiuto concreto. Nel 2025 ricorrono due anniversari: il primo incrocio fra due varietà avvenuto nel 1925 a Vercelli gli 80 anni dell’ibridazione che ha portato a costituire il Carnaroli, re della risicoltura Made in Italy. Due pietre miliari, ma insufficienti per il futuro che richiede sfide più alte. Perciò la scienza sta sperimentando nuove tecniche di ibridazione, per ottenere varietà più resistenti. In questo senso Vittoria Brambilla, appassionata  ricercatrice all’avanguardia, sta conducendo una sperimentazione in laboratorio e in campo con le TEA, che hanno ottenuto il via libera dai ministeri competenti. Niente da spartire con gli Ogm (organismi geneticamente modificati), vietati in Italia. Le tecniche di evoluzione assistita non utilizzano alcun materiale genetico esterno, ma intervengono sul dna della pianta. Un’operazione di “sartoria molecolare”, come è stata definita, per accelerare i tempi rispetto a quelli occorrenti per un’ibridazione classica.

Vittoria Brambilla si prodiga per spiegare che la tecnologia non è affatto Ogm. Ma non basta per convincere alcuni antagonisti, che in nome della difesa dell’ambiente sono già intervenuti con azioni violente: semidistrutto il campo sperimentale nel Pavese, così come è toccato a un vigneto in Valpolicella, banco di prova per un’altra collega ricercatrice. La contestazione è arrivata anche a Coltivato: alcune attiviste sono intervenute con la distribuzione di volantini e controbattendo pubblicamente alle tesi delle due relatrici, che non si sono sottratte al confronto.

(L’Analisi del 24 marzo 2025)

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La scure di Trump contro il Canada s’abbatte sul grano italiano

Non solo riso dai Paesi extraeuropei arriva nel nostro Paese, ma anche grano. Da sempre, perché il fabbisogno è superiore alla produzione. Ne importiamo il 60 per cento di quello tenero e Il 40% di quello duro (da cui si ricava la semola che serve per la pasta). Per soddisfare il mercato interno e le esportazioni sono necessari 6,5 milioni di tonnellate, ne produciamo circa quattro. Il Canada è il maggior produttore al mondo ed è proprio dal “paese dell’acero” che potrebbe derivare un pericolo per l’Italia. L’allarme è direttamente riconducibile alla guerra dei dazi scatenata da Trump nei confronti del Canada, che nella campagna 2024/2025 ha esportato verso l’Italia 392 mila tonnellate di grano duro, con un incremento del 68% rispetto allo stesso periodo 2023/2024. Questo cereale – sottolinea Coldiretti – è trattato in pre raccolta con il glifosato, con una modalità vietata nel nostro Paese. Le decisioni prese dal presidente Usa potrebbero ulteriormente penalizzare l’Italia. Perché? Mauro Bianco, membro di giunta di Coldiretti Piemonte, con delega territoriale al settore cerealicolo: “La guerra commerciale Usa-Canada potrebbe far calare gli acquisti di prodotti canadesi negli States spingendo di fatto a indirizzarli verso altri mercati se non andranno a incrementare le scorte. Alla luce di questa situazione è evidente quanto sia fondamentale ridurre sensibilmente la dipendenza dall’estero e badare alla sovranità alimentare scegliendo la via dei progetti di filiera”.

E Cristina Brizzolari, presidente Coldiretti Piemonte, con Bruno Rivarossa, delegato confederale: “Per valorizzare al meglio le produzioni di grano tenero piemontese, garantire una giusta remunerazione agli agricoltori e offrire completa tracciabilità, da anni lavoriamo insieme con il Consorzio Agrario del Nord Ovest al progetto di Gran Piemonte”.

(L’Analisi del 17 marzo 2025)

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Quel tetto di cristallo infranto nei campi

Una conquista sul campo. Anzi, nel campo e in campo. E’ proprio il caso di affermare che le preposizioni fanno la differenza. Stiamo parlando della presenza femminile in agricoltura: le cifre relative, aggiornate in occasione dell’8 marzo, festa della donna, ci raccontano dei passi compiuti nelle aziende agricole, dal Piemonte alla Sicilia. Nel nostro Paese il 31,5% delle imprese è condotto da donne, contribuendo per il 17,5% alla produzione nazionale. Due imprenditrici su tre sono laureate, come ci dicono le cifre di Confagricoltura Donna. Secondo i comparti coniugati al femminile l’agriturismo e le fattorie didattiche sono in testa (complessivamente il 60 per cento delle imprese). Ma anche nelle aziende zootecniche la percentuale è rilevante (oltre il 43%), in quelle floricole quasi il 52%. Ma Alessandra Oddi Baglioni, presidente di Confagricoltura Donna, rileva che nonostante i progressi compiuti ancora oggi le donne incontrano ostacoli nel loro percorso sociale e professionale: difficoltà di acceso al credito, poca attenzione alla formazione e in generale stereotipi e pregiudizi che limitano le opportunità e la fiducia, influenzando negativamente la percezione della capacità e competenze. L’organizzazione ha promosso la campagna social #coltiviamo parità per sensibilizzare sull’importanza della parità di genere e sulla valorizzazione del ruolo femminile in agricoltura. Monia Rullo, responsabile Donne Impresa Piemonte (Coldiretti): “Le donne che hanno scelto l’agricoltura dimostrano la capacità di coniugare la sfida con il mercato e il rispetto dell’ambiente, la tutela della qualità della vita, l’attenzione al sociale, il contatto con la natura assieme alla valorizzazione del prodotti locali tipici”.

(L’analisi del 10 marzo 2025)

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“Il riso italiano più forte dei dazi di Trump”

Che impatto potrebbero avere i dazi imposti da Trump sul riso italiano? Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi, ha affrontato questo tema spinoso durante il convegno organizzato alla Masseria di Bruno Vespa, su “Le aziende chiedono al Governo”. Innanzitutto una premessa: il cereale Made in Italy viene esportato nella misura del 33 per cento in Europa, per il 13% nei Paesi extra europei. E in Usa? Appena lo 0,8%. Tutte varietà di grande prestigio e richiamo – sottolinea Bobba – come Carnaroli, Vialone Nano, Arborio. Bandiere della risicoltura italiana che negli Stati Uniti hanno fatto breccia e storia fra i consumatori. “Ebbene – prosegue – anche ci fosse un’imposizione daziaria del 25% sulla tariffa del 14 per cento, che già paghiamo, o sul quantitativo, io sono fiduciosa che chi già conosce il nostro prodotto continuerà a comprarlo, non farà distinzione. Anche perché negli Usa abbiamo una forte presenza di italiani, ristoratori che cucinano italiano e la nostra cucina è un’eccellenza. Insomma, penso che la nostra risicoltura non dovrebbe subire contraccolpi importanti”. Come dire: la qualità avrà la meglio, nonostante Trump.

Un riconoscimento sul campo, non solo per la tradizione e la capacità degli chef che lo scelgono e lo fanno apprezzare da un segmento di consumatori medio-alto. E’ anche la conferma che il Made in Italy proveniente dalla risaia italiana rappresenta una testimonianza di salubrità. Traduzione: bello, buono, sano. A questo proposito, Natalia Bobba si è soffermata proprio sulla sostenibilità: “La risicoltura italiana è un’eccellenza europea. La nostra agricoltura è accusata di inquinare l’ambiente e non avere rispetto. Non è così: da anni stiamo lavorando per una distribuzione mirata dei fitofarmaci, localizzandoli quando serve. Ente Nazionale Risi con le Università di Torino, Milano, Piacenza, svolge test per la riduzione dei fertilizzanti azotati. Utilizziamo i droni come camere multispettrali per individuare le carenze di fertilizzanti nei terreni e intervenire quando e dove è necessario. Il sistema della rifrazione ci dice anche dove si deve agire contro patogeni e insetti. E’ il metodo patch spraying (o attacco mirato). Tutto ciò consente un risparmio economico e maggior rispetto per l’ambiente, una salubrità del terreno e la salute dell’operatore.

(L’Analisi del 3 marzo 2025)

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Lei è Vittoria. E non si arrende

Vittoria non si arrende. Del resto il significato del nome che porta è esplicito, non conosce ambiguità o mezze misure. Così è Vittoria Brambilla, ricercatrice all’Università di Milano, dove per prima in Italia ha cominciato la sperimentazione delle TEA (tecniche di evoluzione assistita). Questo acronimo è diventato quasi un mantra nel mondo del riso, perché è proprio in risicoltura che le Tea potrebbero dare una svolta sulla strada della ricerca e del miglioramento genetico finalizzato a difendere le pianticelle del cereale attaccato da un fungo temibile che insidia la maturazione, il cosiddetto “brusone”. Vittoria Brambilla, insieme con il marito Fabio Fornara, aveva faticato non poco per ottenere il via libera dal ministero dell’Ambiente alla sperimentazione delle Tea. A differenza degli Ogm, vietati in Italia, le Tea prevedono la modifica del genoma della pianta senza inserimento di Dna estraneo. Prima in laboratorio, poi in un campo della Lomellina, Vittoria aveva messo a dimora queste nuove piante (varietà Arborio). Ma nella notte del 21 giugno 2024 ignoti avevano semidistrutto la piantagione. Un atto vandalico vero e proprio, per minare la ricerca. Sembrava tutto finito, senza rimedio, ma Vittoria – anche incoraggiata da alcuni agricoltori – non si è arresa, perché il riso è un cereale determinato e indomito. E così alcuni ricacci si sono ripresi, la sperimentazione è proseguita anche se in scala minore sotto il profilo quantitativo. L’attacco alle Tea è proseguito in Veneto, in questo caso da parte di alcuni attivisti antagonisti che probabilmente accomunano questa ricerca agli Ogm e che hanno preso di mira un vigneto. Nel frattempo Vittoria ha ottenuto un’altra possibilità: quest’anno la sperimentazione sul riso sarà allargata ad altri due siti (in Lombardia e in Piemonte). Sono state prese misure più stringenti e prudenziali: eliminazione della geolocalizzazione e telecamere camuffate attorno ai tre campi. Vittoria ha l’appoggio dei risicoltori che vedono nella sua ricerca un tentativo avanzato per combattere gli attacchi fungini e ottenere piante più resistenti. Il progetto è stato denominato “Ris8ttimo” e potrebbe scrivere una storia nuova.

(L’Analisi del 24 febbraio 2025)

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Il Basmati seduce Millennials e Generazione Z, ma deprime il Made in Italy

Prima era stata l’India, poi è arrivato il Pakistan. I due paesi maggiori produttori di riso Basmati si contrappongono in Asia, anzi si fanno una guerra senza risparmiarsi colpi. Ma la battaglia da mesi si è spostata in Europa dove prima un Paese e poi l’altro hanno richiesto a Bruxelles il riconoscimento della IGP (Indicazione geografica protetta) per questo cereale che incontra il favore dei Millennials e della Generazione Z. E insidia anche il riso italiano. Che cosa c’entra con il nostro Paese? A spiegarlo è Roberto Magnaghi, direttore generale di Ente Nazionale Risi. In poche parole: il prodotto proveniente dal Sudest asiatico è direttamente concorrenziale nei confronti dei risi tipo Indica (coltivato anche in Italia) apprezzati dai consumatori del Nord Europa come alimento da contorno o insalate. Tanto da spingere gli agricoltori italiani a concentrarsi sui risi da interno (gli Japonica), con il rischio di una sovrabbondanza di offerta e un abbassamento delle quotazioni. Insomma, uno squilibrio commerciale che penalizzerebbe l’intera filiera (coltivatori e industriali).

Sui tavoli di Bruxelles giacciono, quindi, due richieste: quella dell’India e ultima quella del Pakistan. Né una né l’altra sono state ancora rigettate. Il Pakistan, intanto, ha contestato l’opposizione al riconoscimento presentata dall’Italia alla Commissione. “Tra l’altro – ha dichiarato Magnaghi durante un convegno organizzato da Cia – proprio il riso proveniente dal Pakistan palesa una fortissima percentuale di violazioni. Nel 2024 sul portale del Sistema di Allerta Rapido (RASFF) sono state rilevate ben 97 allerte relative all’import nell’Unione europea dal Pakistan, il 51% del totale. Nonostante le allerte sul riso pakistano siano aumentate del 64% rispetto al 2023, la Commissione ha lasciato invariata la percentuale dei controlli in entrata: 10 per cento”. E quando si parla di infrazioni significa che in quei prodotti sono presenti residui di fitofarmaci messi al bando in Europa, perché ritenuti nocivi per la salute.

Il “Dossier Basmati” si aggiunge a un altro problema grave per l’Italia: l’aumento esponenziale della importazione di riso confezionato sempre dal Sudest asiatico, senza pagare dazio.

(L’Analisi del 17 febbraio 2025)

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Coltivato, arriva l’agricoltura in città (ma non è solo di zappa e badile)

“Preferite farvi cavare un dente da un dentista di una volta (con i macchinari del tempo che fu) o da uno moderno (con le moderne attrezzature)? Nessuno di noi esiterebbe. Vogliamo l’anestesia, trapano sottile, tecnologia d’avanguardia. Preferite invece il cibo prodotto da un contadino di una volta, o da uno moderno? Qui la risposta non è scontata, magari molti di noi preferiscono il cibo di una volta”. Così riflettono Maria Lodovica Gullino e Antonio Pascale,  rispettivamente direttore scientifico e artistico di Coltivato, il Festival Internazionale dell’Agricoltura che si svolgerà a Torino dal 20 al 23 marzo. Seconda edizione, nata da un’idea della professoressa Gullino, fitopatologa di fama internazionale, che ogni volta lancia provocazioni per richiamare l’attenzione sul senso di un’agricoltura sostenibile ma al tempo stesso innovativa. “Un Festival laico – sottolinea – per raccontare la vera agricoltura alla città. Dire le cose come stanno, perché per sfamare la popolazione mondiale dobbiamo produrre di più”. Come dire: lontani dagli stereotipi di una ruralità bucolica e da immagini paradisiache che richiamano condizioni idilliache fantasiose, da schermi tv, ma irrealistiche. Al contrario servirsi delle tecnologie e della scienza, per puntare al futuro. Come ci diranno, ad esempio, Natalia Bobba presidente di Ente Nazionale Risi e Vittoria Brambilla, biologa e genetista delle piante, in tema di riso. E del cereale sarà protagonista in una curiosa interpretazione, Piero Rondolino di “Riso Acquerello”.

Un appuntamento, nei giorni in cui ricorre la Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo), sarà dedicato a una risorsa fondamentale e sempre più scarsa: l’oro blu nel mondo. Naturalmente il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la sostenibilità saranno temi centrali. E “con i piedi ben piantati per terra” si racconterà a che punto è la coltivazione di piante nello spazio nell’incontro “Piantare patate su Marte: il lungo viaggio dell’agricoltura”.

In programma anche spettacoli teatrali e tra gli altri da sottolineare al teatro Gobetti la “pièce” di Massimiliano Bucchi su “Rachel Carson-la signora degli oceani” diretto da Marco Rampoldi con Laura Curino.

(L’Analisi del 10 febbraio 2025)

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QDCA, quel rompicapo del Quaderno di Campagna

Doveva essere un incontro formativo (e lo è stato) quello organizzato da Ente Nazionale Risi alla Fondazione Agraria Novarese per dottori agronomi, dottori forestali, periti agrari, sull’andamento della risicoltura, la ricerca e le prospettive di mercato. Tutti argomenti ampiamenti trattati da esperti, ma il tema che ha tenuto banco è stato soprattutto il “Quaderno di campagna”. Il nuovo registro elettronico dovrebbe entrare in vigore in tutte le regioni italiane dal 1° gennaio 2026, ma lo strumento in forma digitale è già attivo in modalità sperimentale (per abituare all’uso) e sta togliendo il sonno ai risicoltori (e non solo). In altre parole: lo scopo è quello di registrare una serie di informazioni sulle attività svolte in azienda, riguardanti l’utilizzo di prodotti fitosanitari e fertilizzanti. Gli agricoltori (che per ora sono obbligati a compilare e conservare un fascicolo aziendale) dovranno adempiere a un altro compito, quello della registrazione informatizzata del loro lavoro. Un “controllo” dell’operatività che dovrebbe avvenire attraverso la compilazione (giorno per giorno) di tutti gli interventi, indicando in particolare le quantità dei prodotti usati, persino l’ora precisa della somministrazione. Gli imprenditori agricoli sono perplessi, alcuni addirittura spaventati da questa nuova incombenza che complica loro la vita. “Si parla tanto di semplificazione – afferma il presidente di Confagricoltura Piemonte, Enrico Allasia – ma il Quaderno non viene incontro all’operatività delle imprese che oggi già tengono traccia delle operazioni colturali in forma cartacea o su supporti gestionali aziendali. Così come prospettato dall’Italia, è un progetto molto ambizioso, che va oltre agli obblighi previsti dal Regolamento di esecuzione 2023/564 emanato dall’Ue e si configura come l’ennesimo balzello burocratico e operativo a carico delle aziende, un onere che potrebbe essere tolto o perlomeno alleggerito, ad esempio, rivedendo le tempistiche delle registrazioni”.

A tutto ciò si aggiungono complicazioni a quelle che già si prospettano, come sottolinea Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi: “Ogni Regione adotta una piattaforma differenziata. Il fatto è che alcuni terreni, ad esempio le risaie, sono situate e si estendono su Comuni diversi, tra Piemonte e Lombardia”. In questi casi i risicoltori dovrebbero compilare i registri digitali di due piattaforme, con sistemi informatici diversi, benché il trattamento sia stato compiuto su un terreno unico. Insomma, un rompicapo che interroga – almeno per quanto riguarda il Quaderno – sull’efficientamento e l’efficacia di un’autonomia differenziata.

(L‘Analisi del 3 febbraio 2025)

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Green Deal e lobby ombra, è tempo di fare luce

E’ tornata la protesta degli agricoltori. Un anno fa, di questi giorni, i trattori invasero strade e piazze d’Italia. Obiettivo: premere su Bruxelles allo scopo di rivedere progetti e linee-guida, come il “Farm tu Fork” e il “Green Deal”. A un anno di distanza, di nuovo in marcia. Sigle diversificate, ma anche sindacati tradizionali, come Coldiretti, per rivendicare promesse mancate e accelerare pagamenti ancora di là da venire, come gli indennizzi delle assicurazioni contro i danni del cambiamento climatico. Due paroline, “Green Deal” (non gradite da Trump), che ora fanno infuriare anche gli agricoltori italiani. L’inchiesta del quotidiano olandese De Telegraaf porta alla luce un “traffico di influenze” che sarebbe partito dall’ex commissario UE, Timmermans (Olanda) per orientare il dibattito sull’agricoltura europea e fare pressioni a favore del “Green Deal”. In altre parole: sostegni (anche in denaro) a favore delle organizzazioni ambientaliste per raggiungere il risultato mettendo sotto accusa le aziende agricole come principali responsabili dell’inquinamento. Traduzione ancora più esplicita: “L’UE avrebbe pagato segretamente gruppi ambientalisti per promuovere i piani verdi di Timmermans”. E, sempre stando al giornale olandese, Bruxelles avrebbe “utilizzato denaro da un fondo per sussidi climatici e ambientali da miliardi di euro” per finanziare una “lobby ombra”.

Vero o falso? Ora gli agricoltori chiedono chiarezza e verità. “Se quanto emerso dovesse essere confermato – si legge in una nota di Coldiretti – la verità è che abbiamo sempre avuto ragione nel sostener che dietro al Green Deal di Timmermans si nascondeva un’agenda politica a senso unico, capace solo di favorire interessi di parte e non di garantire l’equilibrio tra la sostenibilità ambientale e la necessità di proteggere la nostra agricoltura, infliggendo gravi danni alle filiere agricole in nome di un ambientalismo ideologico”.

(L’analisi del 27 gennaio 2025)

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Alta Langa, bollicine e Academy: sul web corre un racconto

“I protagonisti di questa storia sono agricoltori e produttori di bollicine uniti da un autentico orgoglio…”. Così si inizia il primo capitolo dell’Academy che racconta un mondo molto preciso. E basta un aggettivo, “piemontese”, per sgombrare il campo da ogni equivoco e immergersi tra i filari delle colline del Consorzio Alta Langa. Questi viticoltori non solo producono spumante metodo classico di grande qualità, ma hanno deciso di lanciare una sezione “educativa” sul web per raccontare una storia che è quasi epopea, scritta nei secoli, esplosa sui mercati negli ultimi anni. Per ricordare che quelle bollicine sprigionano non solo aromi e sapori, “terroir” ed economia, ma anche cultura. Contenuti per diffondere il mondo contadino diventato imprenditoriale, agli appassionati di vino, studenti, professionisti del settore, giornalisti che desiderano ampliare le proprie conoscenze su un gioiello dell’enologia piemontese. Mariacristina Castelletta, presidente del Consorzio Alta Langa dice che “attraverso questa nuova sezione del nostro sito istituzionale desideriamo aprire le porte della conoscenza dell’Alta Langa pe condividere il sapere e abbiamo scelto di farlo con un prodotto in linea con l’essenza del Consorzio e della denominazione stessa: un sito ricco e curioso, curato, dal layout contemporaneo”.  Quindi non solo vino, metodi di produzione, ma racconto di una terra ricca di passato e presente, con accenni a esponenti della cultura che hanno segnato la storia e la letteratura oltre i confini piemontesi: da Cesare Pavese a Beppe Fenoglio. Ma anche le tradizioni, come i falò e il ballo a palchetto, simboli di appartenenza a un patrimonio culturale unico. Il sito:

https://academy.altalangadocg.com/

(L’Analisi del 20 gennaio 2025)

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Il riso dà i numeri

La situazione di mercato ogni anno redatta da Ente Nazionale Risi sull’andamento della risicoltura italiana è un termometro significativo. Per più ragioni: la fotografia di un Made in Italy primo in Europa e secondo nel mondo per volumi di esportazioni. Basterebbero questi due parametri per sottolineare l’importanza del comparto-eccellenza. I numeri: nella campagna 2024-205 su una superficie di 226.128 ettari sono state prodotte 1.452.000 tonnellate. Importate 59.479 tonnellate soprattutto da Pakistan, Thailandia, India, Cambogia, Myanmar, Vietnam, Sri Lanka: pari a un +38 per cento. Questo dato fa riflettere perché la maggior parte del cereale che arriva nel nostro Paese e in Europa è tutto lavorato, in piccole confezioni, quindi già pronto per essere immesso nei canali di vendita (negozi e grande distribuzione): complessivamente pari a 469.417 tonnellate, con un incremento esponenziale negli ultimi anni. Riso direttamente antagonista di quello coltivato in Italia, parte appartenente alle varietà Japonica (da risotto) ma soprattutto Indica (da contorno, maggiormente consumate nell’area UE). Contro questa invasione la filiera risicola italiana invoca il ripristino dello scudo, la cosiddetta clausola di salvaguardia, ormai scaduta e non ancora rinnovata. Per contro l’export italiano (circa 37.734 tonnellate) fin qui ha riguardato una serie di paesi: al primo posto Gran Bretagna, seconda la Svizzera; via via Brasile, Turchia, Bosnia, Australia, Norvegia, Kosovo, Canada.

(L’analisi del 13 gennaio 2025)

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L’ape vola sul francobollo

Nel 2023 il calo di produzione era stato stimato, in alcune aree, tra il 75 e il 90 per cento. Il 2024 ha dato il colpo di grazia. Stiamo parlando di miele italiano, decimato a causa del cambiamento climatico e contrastato anche dalla concorrenza straniera. Un settore in ginocchio, che da anni invoca aiuti e interventi strutturali. Voci che non sempre vengono ascoltate. Ecco perché ogni pur piccolo segnale, anche simbolico, è considerato con la massima attenzione. Come l’idea di dedicare all’apicoltura un francobollo. L’emissione filatelica non è passata inosservata, anzi è stata recepita dai 77 mila apicoltori come un riconoscimento al lavoro da loro svolto, così osserva Raffaele Cirone, presidente della Federazione Apicoltori Italiani (FAI), anche per il ruolo di difensori della biodiversità dei paesaggi e degli ecosistemi.

«Il comparto dell’apicoltura, nonostante la sua gloriosa tradizione – ricorda Cirone – è stato considerato per lungo tempo un ‘allevamento minore’: ci sono voluti anni di grande impegno per dotarlo di strumenti normativi, azioni di sostegno, interventi ordinari e straordinari. Questo francobollo, nel definire il valore simbolico e sostanziale del settore, corona dunque i sacrifici di chi l’allevamento delle api lo porta avanti da generazioni fronteggiando ogni tipo di avversità. Un ringraziamento ai ministri Lollobrigida, Urso, al sottosegretario, Luigi D’Eramo, all’ad di Poligrafico e Zecca dello Stato, Francesco Soro e al responsabile Filatelia Italiana di Poste Italiane, Giovanni Machetti, per aver accolto la nostra istanza».

Non è la prima volta che le emissioni filateliche, in Italia, riguardano il mondo della natura. La tematica sugli animali è stata dedicata alla salvaguardia del mare, in particolare alla fauna marina del Mediterraneo, con i pesci in primo piano. Altri francobolli hanno immortalato i cosiddetti “domestici” (gatti, cani). Ma anche gli uccelli, le farfalle. E gli esemplari rarissimi, in estinzione, come la lucertola delle Eolie. Sul francobollo dedicato all’apicoltura (costo 1,25 euro, tiratura 250 mila esemplari, bozzetto di Claudia Giusto), sono raffigurati un apicoltore, le api e alcune margherite.

(L’Analisi del 5 gennaio 2025)

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La mela parlante ci racconta una storia

Una mela al giorno…ecc. ecc. Quanti proverbi attorno al frutto più consumato, conosciuto, carico di proprietà nutrizionali e di storia (da Adamo ed Eva in poi). Ora, dall’Alto Adige, patria per eccellenza delle Rosacee, arriva un podcast dal titolo “Un mondo oltre la mela. Esperienza di gusto europea”. Una narrazione che trasporta l’ascoltatore in un viaggio sensoriale, rappresentato dall’incontro tra un fruttivendolo e una ragazza, Marta, che fruisce passo dopo passo di una storia legata a questo frutto universale. Al racconto hanno prestato voce anche due sommelier delle mele, in grado di descrivere le proprietà organolettiche. Sono 13 le varietà di mela Alto Adige IGP entrate a far parte della campagna europea e raccontate durante il podcast. Il mezzo di comunicazione e diffusione rapida è disponibile sulle principali piattaforme  al link “Un mondo oltre la mela” ed è stato realizzato da Podcast Italia Network. Le voci sono di Jessica Gentile, Matteo Ranzi e Igor Principe (autore e voce narrante). Per coloro che desiderano approfondire è possibile reperire altre informazioni sul sito web mondomela.eu.

Pochi sanno, ad esempio, che anche l’approccio alla mela – come avviene per il vino – può avvenire attraverso un’analisi sensoriale, che contempla una serie di step: dall’osservazione sino all’ascolto (proprio così) perché mettendo in bocca uno spicchio, già al primo morso l’attenzione viene posta sul grado di intensità del suono emesso durante la masticazione e si può notare se il frutto è più o meno croccante. Bella idea, quella dell’Alto Adige, che potrebbe essere diffusa anche a molti altri prodotti del Made Italy.

(L’analisi del 29 dicembre 2024)

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Quel chicco di caffè che diventa riso

Sette milioni di piatti, oltre 6.600 quintali, cento città coinvolte in Lombardia, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia. Sono i numeri del progetto “Da chicco a chicco” che parte dal caffè e viene trasformato in riso per raggiungere i meno abbienti, nell’ambito di una iniziativa che coinvolge dal 2011 Nespresso (colosso del gruppo Nestlè) e Banco Alimentare. L’idea ha movimentato anche decine di aziende agricole nell’area di maggiore produzione (Piemonte e Lombardia). E’ un progetto di economia circolare che comincia con il riciclo delle capsule esauste, con l’obiettivo di riportare a nuova vita i due materiali di cui sono composte: alluminio e caffè. Quest’ultimo può diventare compost per fertilizzare il terreno delle risaie, da cui nasce il cereale che Nespresso riacquista e dona al Banco Alimentare. Sino ad arrivare a 174 strutture caritative. L’alluminio, invece, una volta fuso viene trasformato in oggetti come penne, biciclette o coltellini. Ma sono soprattutto i piatti caldi di riso, distribuiti ai meno abbienti, a fare la differenza e interpretare il senso della solidarietà. Un’idea “contagiosa” che ha spinto anche Fondazione Progetto Arca con le cucine mobili a distribuire risotti alle persone in strada, in quattro città (Milano, Roma, Torino e Bari). Nespresso ha investito oltre 6 milioni di euro in questa filiera che tocca tutti, dal consumatore di caffè sino agli agricoltori e infine ancora al consumatore. Un ciclo completo all’insegna della sostenibilità, che ha incontrato il favore dei risicoltori perché si è scoperto che i fondi delle capsule sono ricchi di azoto, potassio e magnesio. Insomma nutrienti che – trasformati in fertilizzanti – fanno bene al terreno e riducono anche i costi di produzione aziendale.

(L’Analisi del 22 dicembre 2025)

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Spazi da conquistare in Europa che ha fame di riso

Sono sufficienti alcuni numeri per comprendere il paradosso del riso italiano: nell’ultima campagna appena conclusa la superficie è aumentata del 7,6%; ma la produzione è cresciuta di appena lo 0,7 e la rese sono diminuite del 6%. Commento analitico: l’offerta (complice anche l’andamento climatico che ha condizionato l’annata) non tiene il passo della domanda, che per essere soddisfatta necessita di un maggior ricorso all’importazione. Insomma, c’è fame di riso, ma nonostante ciò le 3.600 aziende produttrici non riescono a coprire tutte le opportunità che si presentano sui mercati, in Italia e all’estero. Per contrappasso, in questo momento un dato positivo arriva dalle borse risi: proprio per effetto della domanda-offerta le quotazioni sono in ascesa.

La fotografia della risaia made in Italy e delle sue prospettive è stata scattata al Centro Ricerche Ente nazionale Risi di Castello d’Agogna (PV), dove si è parlato di “Mercato, innovazione, clima: strategie per il futuro del riso italiano”, moderatore Pietro Milani, direttore di Airi (Associazione industrie risiere italiane) e interventi di esperti e ricercatori: Vittoria Brambilla (Università di Milano) su tecniche di evoluzione assistita; Arianna Di Paola (CNR) su cambiamenti climatici; Riccardo Puglisi (Università di Pavia) sul futuro dell’agricoltura nell’UE; Filippo Roda (Aretè, The Agri-Food intelligence-company) sul mercato del riso. In particolare focus su ricerca e clima, a cominciare dalle TEA, con Brambilla che ha ripercorso l’iter di un progetto tutto italiano e approvato dalla Regione Lombardia con la sperimentazione (non Ogm)  in campo, interrotta da un atto vandalico che tuttavia non è riuscito a interrompere né la procedura né i primi risultati raggiunti. Attese erano le conclusioni di Mario Francese, presidente di Airi, che ha fatto il punto sull’andamento del settore, soprattutto quello della trasformazione e dei consumi: “C’è spazio sui mercati europei per riconquistare parte del riso importato. Ma urge anche rivedere le norme relative al cereale confezionato in arrivo nell’area UE: negli ultimi dieci anni si è passati da 40 a 470.000 tonnellate. E’ un problema che riguarda tutto il settore, non solo quello industriale. Poi c’è il tema della reciprocità e della salubrità: è cruciale ottenere deroghe ai limiti d’impiego di alcuni agrofarmaci. Ancora: dopo la drammatica esperienza della siccità di due anni fa, malgrado gli annunci, nulla è stato ancora fatto sul fronte degli interventi”.

In controtendenza rispetto alle preoccupazioni dei risicoltori sul Mercosur, l’intesa raggiunta da von der Leyen con i Paesi del Sudamerica: “Personalmente lo giudico un gesto politico considerevole perché toglie l’area alla Cina. Quanto al riso, la concessione a dazio zero è per 60 mila tonnellate, il che significa il 2,4 per cento dell’UE”.

(L’analisi del 17 dicembre 2024)

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Mercosur, insidia sudamericana per il nostro agrifood

Doveva essere un accordo di libero scambio tra Unione Europea e i Paesi del Mercosur (Mercado Comune del Sur) che comprende Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Si rivela, invece, un patto con strascichi polemici quello sottoscritto a Montevideo da Ursula von der Leyen. L’agricoltura di Francia e Italia si sentono penalizzate dagli effetti che potrebbero ricadere sulle produzioni agroalimentari europee. In sintesi le motivazioni, che per ragioni diverse trovano sulla stessa linea (una volta tanto) le tre organizzazioni agricole sindacali italiane. A cominciare da Confagricoltura che con il suo presidente Massimiliano Giansanti stigmatizza come l’intesa non garantisca equità e reciprocità per il nostro modello agricolo: “Comprendiamo la necessità di approfondire le relazioni commerciali internazionali, ma questo non deve avvenire a discapito degli agricoltori europei e delle nostre produzioni”. Le preoccupazioni principali riguardano l’import di carni bovine, pollame riso, mais e zucchero. Cristiano Fini, presidente Cia (Confederazione italiana agricoltori), sottolinea come questo accordo liberalizzi l’82% delle importazioni agricole dal Sudamerica. Scendendo nei numeri: concessione da parte dell’Ue di contingenti tariffari su carni bovine (99.000 tonnellate), pollame (180.000), carni suine (25.000), zucchero (con eliminazione del dazio su quello brasiliano), riso (65.000), miele (45.000). Ancora Fini: “In Ue si guarda soprattutto ai benefici per comparti come il farmaceutico e automotive, rilevanti soprattutto per l’export tedesco, interessati al quinto maggior mercato mondiale, con 260 milioni di consumatori latino-americani”.

Poi c’è l’interrogativo sulla “Food safety”, cioè la salubrità degli alimenti. In proposito Cristina Brizzolari, presidente di Coldiretti Piemonte: “Basti pensare all’uso nei Paesi sudamericani degli antibiotici e di altre sostanze come promotori della crescita negli allevamenti, o al massiccio uso di pesticidi vietati nella Ue. I nostri allevamenti invece sono il fiore all’occhiello della zootecnica che vanta la razza autoctona Piemontese, con 310 mila capi, 4 mila aziende e oltre 10 mila addetti”.

“E al danno si aggiunge la beffa. – prosegue –  Non contenta di aver siglato il peggiore degli accordi possibili con il Mercosur per la filiera agroalimentare europea aprendo la porta a prodotti con standard di sicurezza e qualitativi inferiori ai nostri, la presidente della Commissione von der Leyen raggiunge il paradosso annunciando un fondo europeo di 1,8 miliardi per facilitare la transizione verde e digitale dei paesi del Mercosur. Insomma spalanchiamo il mercato europeo a prodotti alimentari ottenuti utilizzando a monte farmaci per la crescita degli animali, con colture prodotte utilizzando pesticidi spesso vietati in Europa perché pericolosi. Di fatto un vero e proprio strumento di rottamazione dell’agricoltura europea simile a quello che abbiamo fatto rimangiare a suo tempo al commissario Timmermans. Una elemosina che vorrebbe portare gli agricoltori e gli allevatori europei a chiudere la loro attività perché non possono competere con i bassi standard del Mercosur”.

 “Un’intesa inaccettabile” la definisce Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi. “Nell’accordo – prosegue – manca il principio di reciprocità che è indispensabile per non far entrare nell’Unione europea prodotti agroalimentari ottenuti senza il rispetto degli standard ambientali e di sicurezza alimentare che, invece, devono essere garantiti per i nostri prodotti. Per quanto riguarda il riso, è prevista una concessione ai paesi sudamericani di un contingente a dazio zero di 10.000 tonnellate per il primo anno che si incrementerà ogni anno di 10.000 tonnellate fino ad arrivare a un massimo di 60.000 tonnellate.

«Ancora una volta la Commissione europea è andata dritta per la propria strada, incurante del forte malcontento espresso da tutto il mondo agricolo europeo – continua Bobba – L’Ente Nazionale Risi si adopererà affinché l’Italia voti contro l’accordo oppure, come dichiarato dal Ministro Lollobrigida, che vengano previste adeguate garanzie sulla reciprocità, la protezione delle nostre produzioni e delle compensazioni per eventuali danni che potremmo subire».

Dopo il controllo legale finale da parte di entrambe le parti, il testo sarà tradotto in tutte le lingue ufficiali dell’Unione e quindi presentato al Consiglio e al Parlamento per ottenere la loro approvazione. La Francia, che si è sempre dichiarata contraria all’accordo, sta cercando alleati per ottenere una minoranza di blocco in seno al Consiglio che si verificherebbe con il voto contrario di 4 Stati Membri in rappresentanza del 35% della popolazione dell’Unione. L’Italia rappresenta l’ago della bilancia per il destino dell’accordo.

(L’analisi dell’8 dicembre 2024)

 

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“Gorgonzola e i dazi di Trump? Noi pronti alle sfide”

“Trent’anni fa dettavano legge il Roquefort e lo Stilton, oggi il Gorgonzola Dop produce tre volte la quantità degli altri due”. Fabio Leonardi, ceo di Igor, l’industria leader del formaggio erborinato più noto al mondo, esordisce così a chi gli chiede come sta andando il comparto. E lo dice a chiare lettere, davanti a una platea di industriali piemontesi che stanno partecipando all’evento “Le 1000 imprese best performer” promosso da Italy Post e L’Economia del Corriere della Sera, nel Lab Comoli Ferrari di Novara. Un confronto a tutto campo, tra eccellenze, a cominciare dal padrone di casa Paolo Ferrari, altro leader italiano nel campo dell’impiantistica elettrica, che non nasconde le difficoltà di un 2024 difficile, segnato da luci (mai come qui è il caso di sottolinearlo) e ombre dovute alla concorrenza di altri competitor arrivati in Italia. Ma è anche l’occasione per tastare il polso del mondo imprenditoriale di fronte alle sfide (leggi Trump) che ci attendono dietro l’angolo. Bene per molti il 2024, incerto il 2025 sull’onda delle minacce o promesse che arrivano dagli Stati Uniti. Che si traducono in una sola parola: dazi sui prodotti agroalimentari europei. Leonardi: “Il neopresidente eletto negli States li aveva già introdotti durante il primo mandato, poi Biden li aveva sospesi. Noi siamo certi che li reintrodurrà, Bruxelles dovrebbe avere più competenza e cattiveria. Ma vorrei anche ricordare che il settore lattiero-caseario con le sue Dop esporta circa l’80 per cento in Europa e negli ultimi sette anni ha incrementato questo trend del 41%. Soltanto il 20% è esportato in Paesi extra UE. In realtà a preoccupare è la somma dei dazi, perché non sarà soltanto Trump ad aumentarli, ma anche la Cina. E i due Paesi più penalizzati saranno Italia e Francia, con i formaggi e i vini. Abbiamo bisogno di aiuti dal Ministero degli Esteri, della Confindustria e noi trasformatori dobbiamo fare più sistema Paese per trovare tuti insieme quel giusto potere negoziale. Stiamo puntando sulla valorizzazione del latte italiano, che ha raggiunto tetti altissimi. Tutto il comparto deve compiere un salto, puntare sull’economia circolare, l sostenibilità e l’attrattività. Occorre un cambio culturale, investire e efficientare non è più sufficiente. Occorre puntare molto anche sulla formazione ed è ciò che noi stiamo facendo”.

(L’Analisi del 29 novembre 2024)

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Dieta Mediterranea disconosciuta dalla Generazione Z

La Dieta Mediterranea ha un futuro? E’ lecito porsi l’interrogativo, come dimostra la nuova
indagine dell’Osservatorio Waste Watcher International, dal titolo molto esplicito: “La Dieta
mediterranea in Italia: un’eredità di cui riappropriarsi”. A mettere in dubbio certezze che
sembravano consolidate sono i risultati del sondaggio relativo a questo modello nutrizionale,
allo stile di vita che si fa risalire a un luogo simbolo, il Cilento, dove è stato girato il film di
successo “Benvenuti al Sud”. Ebbene, solo il 23 per cento dei giovani fra i 18 e i 24 anni (quasi
uno su quattro) segue questa tradizione o indicazione, definendola però “Un regime
alimentare che prevede un consumo elevato di carne, pesce e latticini, con un ridotto apporto
di carboidrati”. Viceversa, nella fascia di età fra i 55 e 64 anni il 77% parla di “uno stile di vita
che include abitudini alimentari equilibrate, basate su olio di oliva, cereali, frutta, verdura,
pesce, carne moderata, il rispetto della stagionalità e della biodiversità”. A praticarla sono
soprattutto gli anziani (l’85% di chi ha più di 65 anni). Altre curiosità: le donne tendono a
seguirla più degli uomini, consumi più alti di frutta e verdura.
Ma a preoccupare è soprattutto la risposta della generazione Z. Come invertire la rotta? La
misura più apprezzata – sottolinea il rapporto – è l’educazione alimentare nelle scuole (64%),
sostenuta in particolare dagli over 55 (73%). Seguono le campagne di sensibilizzazione sulla
salute. Conforta una richiesta che viene dal mondo giovanile: quasi un giovane su tre propone
di tassare i cibi non salutari. Insomma, c’è ancora molto da lavorare ma per fortuna il terreno è
fertile.

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