Tutto partì da un ragnetto rosso. Micidiale e devastante, tanto da mettere a rischio la sopravvivenza delle vigne. A quei tempi, siamo negli anni 80, sulle colline del Novarese la superficie coltivata a vite superava il migliaio di ettari. Ma la peronospera e il ragno vermiglio decimavano i filari. E così figli e nipoti dei viticoltori, uno dopo l’altro, decidevano di fuggire. Lo ha ricordato bene Paolo Rovellotti, oggi tra i produttori più affermati dell’Alto Piemonte, durante il convegno “38 anni di attività di difesa integrata nei vigneti delle colline novaresi” che si è svolto a Ghemme, patria del vino Docg. Rovellotti e altri pochi coraggiosi resistenti scelsero di cambiare rotta, rivolgendosi alla ricerca. Nacque così il nuovo corso che avrebbe cambiato volto alla coltivazione della vite, non solo in provincia di Novara. Come ricorda il professor Carlo Lozzia (Accademia italiana della vite e del vino) che con altri colleghi intervenne per dare un svolta: “Sino a quel momento i vigneti erano sottoposti a una quindicina di trattamenti fungicidi oltre agli otto riservati agli insetticidi”. Una tendenza esponenziale che avrebbe schiavizzato la viticoltura, in netta contrapposizione alle nuove linee di agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente e del consumatore. Lozzia e la sua squadra cambiò registro. Portò un’innovazione rivoluzionaria, forse guardata con perplessità dagli agricoltori, ma poi rivelatasi fruttuosa e determinante: la lotta integrata. E così ne l vigneto furono immessi gli insetti utili, i predatori in grado di neutralizzare quelli cattivi e dannosi. E fu introdotta anche la confusione sessuale contro le tignole attraverso i feromoni, sostanze biochimiche in grado di inviare messaggi ad altri individui della stessa specie. Tradotto: un richiamo “adescatore” per il maschio, così potente e attrattivo da disorientarlo e spingerlo in una trappola. E con l’obiettivo di interrompere l’accoppiamento con le femmine, quindi ridurre l’ampliamento della popolazione nociva. Queste modalità innovative negli anni hanno decretato il successo qualitativo della produzione. Senza quegli interventi probabilmente il Ghemme non avrebbe ottenuto il prestigioso riconoscimento di vino a denominazione d’origine controllata e garantita. E forse anche gli altri rossi della zona non sarebbero diventati neppure Doc.
Share on Facebook
Follow on Facebook
Add to Google+
Connect on Linked in
Subscribe by Email
Print This Post
You must be logged in to post a comment Login