di Gianfranco Quaglia
Un occhio alla risaia che fatica a emergere, è il caso di dirlo, considerato il clima avverso che da settimane incombe su Piemonte e Lombardia, condizionando lo sviluppo dei seminativi, con ritardi che si percuoteranno sulla produzione. Ma lo sguardo è rivolto anche a Bruxelles, dove sta nascendo la nuova Unione Europea dopo la consultazione elettorale. In attesa di conoscere il nome del futuro commissario UE all’agricoltura.
Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi, che cosa si attende dalla futura Commissione per il comparto riso?
“Innanzitutto l’applicazione della clausola di salvaguardia in modalità automatica. La filiera auspica che la richiesta venga accolta. Il dispositivo, scaduto da tempo, dovrebbe essere adottato ogniqualvolta le importazioni da paesi terzi superano una soglia non più tollerabile e tale da mettere in crisi la risicoltura europea. Senza scudo protettivo, i paesi del Sudest asiatico (in particolare Cambogia e Myanmar) appartenenti al gruppo PMA (Paesi meno avanzati) stanno esportando cereale a dazio zero. Quindi a prezzi inferiori rispetto ai nostri, sono facilitati e diventano diretti competitori dei risicoltori europei. Una condizione che sta già colpendo tutta la filiera, industria di trasformazione inclusa. Basti pensare al riso confezionato in arrivo nei porti del Nord Europa, un quantitativo pari a 400 mila tonnellate l’anno. Una valanga che sta mettendo in crisi anche i grandi gruppi industriali”.
A proposito di importazioni. E’ scoppiata la guerra IGP tra Pakistan e India: entrambi chiedono all’UE il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta per il Basmati. Se Bruxelles rispondesse positivamente per entrambi o per l’uno o l’altro Paese, quali effetti ricadrebbero sui nostri produttori?
“Aumenterebbero gli arrivi di questa varietà molto apprezzata dai giovani consumatori europei e in particolare dalle comunità asiatiche molto presenti in tutta Europa. La conseguenza immediata? Il nostro riso tipo Indica coltivato anche in Italia subirebbe un grave contraccolpo sui mercati. Non solo: gli agricoltori italiani si orienterebbero sullo japonica, inflazionando il mercato di quest’ultimo. Per noi una duplice crisi. Ecco perché dobbiamo intervenite su Bruxelles”.
Il riso dall’Asia costa meno, viene coltivato in paesi (come il Myanmar) dove i diritti civili sono violati e lo sfruttamento minorile è una prassi consolidata. Di più: da quelle risaie arriva a noi prodotto trattato con antiparassitari i cui principi attivi sono vietati in Europa. Come è possibile tollerare tutto ciò?
“Basta pesi e misure diverse. Non esiste alcuna reciprocità, in Europa è possibile importare riso a prezzi altamente competitivi, coltivato con quei prodotti chimici le cui molecole da noi sono proibite. Da noi, in UE, la normativa sull’utilizzo di principi attivi è rigorosissima: i nostri agricoltori, attentissimi nel difendere l’ambiente, usufruiscono di pochissime deroghe. Quasi nessuna concessione, il propanile ad esempio non è passato”.
La Nature Restoration Law, la legge sul ripristino della natura, approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, quanto impatterà sul settore risicolo?
“Per fortuna noi siamo tutelati dalla rotazione obbligatoria sui seminativi. Il riso è un comparto particolare e chiediamo all’Europa di riservargli un occhio di riguardo. Ma soprattutto ci rivolgiamo anche alla politica di casa nostra, affinché prevalga il dialogo, affinché l’agricoltura non sia bistrattata e considerata merce di scambio”.
In questi giorni si sta definendo la formazione della nuova Giunta regionale del Piemonte, con le nomine e le deleghe agli assessori. Soddisfatti?
“No, a nome dei risicoltori esprimo la contrarietà su alcune scelte. Mi riferisco a quella sull’agricoltura. Da oltre trent’anni, dopo l’ultima nomina di un vercellese, aspettiamo invano un’attenzione per una scelta riguardante la risicoltura, di cui il Piemonte è leader in Italia. Ma anche questa volta, malgrado le richieste, siamo stati dimenticati”.
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