Nel 2020, cui mancano appena cinque anni, nel nostro Paese e nell’Europa comunitaria la chimica e il petrolio verdi dovranno assicurare il 38% della elettricità, il 20% del calore e il 10% dei trasporti. Nello stesso anno dovrà esaurirsi il primo ciclo della nuova politica agricola che ribadirà con i fatti e i provvedimenti che, senza settore primario e agroalimentare, non ci potrà essere futuro alimentare per 500 milioni di cittadini europei.
Le date-obbietivo sono state fissate nello scorso mese di agosto dalla Conferenza Stato-Regioni che ha approvato il piano di settore per le bioenergie. E il ministero delle Politiche Agricole, ha prodotto diversi documenti di base nel contesto dei tavoli per le bioenergie e il petrolio verde. Nel documento denominato stato dell’arte delle bioenergie in Italia gli estensori richiamano un aspetto importante: il nostro Paese è molto avanti rispetto alle tecnologie per gli impianti che trasformano in gas e in petrolio verde i grandi residui dell’agricoltura e dei raccolti, in origine agroalimentari, destinate all’energia pulita non derivante dal fossile.
La conferma di questa realtà viene anche dal mercato della formazione dei tecnici e degli specialisti con il compito di far funzionare gli impianti per trasformare i residui agricoli in gas e, più generalmente, in bioenergie. Agroenergia di Tortona, da gennaio a dicembre 2014 ha promosso e organizzato master e corsi di formazione in tutta Italia, articolandoli in base ai residui e alla “materia prima grezza”: vale a dire, gas proveniente dagli allevamenti zootecnici che producono deiezioni trasformabili in gas, scarti enologici e delle lavorazioni olearie come le sanze, utilizzo di raccolti non destinati alla nutrizione umana. Sulle differenze di impiego gli specialisti ministeriali e gli economisti, per esempio quelli della Fao, insistono: le differenze tra produzioni per garantire l’alimentazione e in funzione della trasformazione in bioenergie devono esser nette. Inoltre, i raccolti così detti industriali non devono mai prevalere su quelli chiaramente agricoli e alimentari. Il mercato strutturale degli impianti di trasformazione in energia di quanto può dare la terra evidenzia un altro aspetto, proprio nel 2014 richiamato da Agroenergia nelle sue presentazione dei corsi di formazione: negli ultimi dieci anni le installazioni ad elevata tecnologia gestibili da tecnici molto preparati in fisica e chimica sono sensibilmente aumentate, dislocate nelle aree rurali del Nord come del Centro e del Sud del nostro Paese. E questo è assai importante dal punto di vista dell’occupazione nonché per il rilancio economico italiano.
Anche le regioni a statuto ordinario e speciale si stanno interessando con monografie e memorie ad hocdell’attuazione del piano nazionale per le biotecnologie. Fra gli altri sull’ultimo numero di Agricoltura, il periodico del settore primario della Regione Piemonte, Germano Tosin della Direzione Agricoltura – Settore agricoltura sostenibile e infrastrutture irrigue, ha offerto una ampia trattazione sulle bioenergie e sui problemi che si prospetteranno e che comporteranno una soluzione. Uno di questi, forse il maggiore in rapporto alle reazioni dei territori e dei suoi abitanti, è quello conosciuto come l’effetto Nimby: not in my back yard, più energia a minor costo perché ce n’è bisogno, ma lontano dal mio giardino per le ragioni negative reali o immaginarie: odori ritenuti insopportabili, timori di deflagrazioni, incidenti sul lavoro, aumento del traffico nei trasporti delle materie prime. In tutti i casi, regioni e anche altre enti locali sono chiamati in causa.
Ma Germano Tosin e la sua ampia nota tecnica evidenziano un aspetto, in genere non ancora molto considerato, nell’ampio dibattuto sulle bioenergie appena sviluppatosi dopo il varo del piano energetico nazionale: la reale possibilità di dilatare convenientemente le coltivazioni industriali in funzione dell’energia sostenibile, però senza sottrarre superficie e spazio alle coltivazioni alimentari. Nelle coltivazioni energetiche del futuro, per adesso limitate a poche essenze non alimentari, secondo il tecnico Tosin questo toccherà alla ricerca genetica. In altre parole: quello che tecnologicamente sta ampiamente accadendo per gli impianti di trasformazione per interesse dell’industria, dovrebbe succedere, grazie alla ricerca dei genetisti, per ottenere generosissime coltivazioni di soia, colza, girasole trasformabili in petrolio verde.
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