Gli agricoltori non immaginavano di essere puniti così duramente. Eppure a loro viene riconosciuto il merito e il ruolo essenziale di aver servito e salvato il Paese nei giorni più drammatici della pandemia. La ricompensa? Aumento dei costi produzione, che per alcune materie prime hanno superato di tre-quattro volte quelli di un anno fa.
Colpiti, in particolare, i fertilizzanti. Ad esempio Il prezzo dell’urea, uno dei principali concimi che forniscono azoto, è salito alle stelle (oltre il 60%); il nitrato ammonico del 65%. Discorsi analoghi per il comparto zootecnico. I rialzi su mais (+50%), soia (+80%) e mangimi deprimono i bilanci delle aziende. A tutto ciò si aggiungono rincari fino al 50 per cento su gasolio, energia elettrica e plastiche, oltre a quelli sugli alimenti per animali, annullando di fatto i pochi centesimi al litro conquistati in più sul prezzo del latte alla stalla.
A spingere le quotazioni delle materie prime è anche la domanda-offerta: non a caso gli agricoltori lamentano la difficoltà negli approvvigionamenti, se non addirittura l’assenza completa. Un “gioco” al rialzo che è scattato con l’arrivo della pandemia ed è stato cavalcato dai principali produttori mondiali, leggi in particolare Cina. La Repubblica Cinese detiene la “cassaforte” dell’urea e da mesi ha chiuso le porte, esporta con il gontagocce favorendo la corsa del prezzo: basta pagare quello richiesto e la merce si trova.
Altri fattori che determinano i rialzi dei concimi: i costi del trasporto marittimo e dei noleggi delle navi e dei container. In alcuni casi la somma container-trasporto è arrivata a costare più del valore della merce esportata verso i porti europei (per quanto riguarda l’Italia la maggior parte dei carichi approda a Ravenna).
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