di Gianfranco Quaglia
«Per fortuna ci dà una mano la Turchia. Proprio Ankara, perché apprezza il nostro riso. In un momento come questo, caratterizzato dalla concorrenza che frena il nostro export, il mercato turco va in controtendenza e le nostre esportazioni hanno assunto una spinta inattesa».
Mario Francese, amministratore delegato della Euricom, in Lomellina (il colosso della trasformazione del riso made in Italy) analizza i primi risultati della campagna 2014-2015 e sottolinea la «spinta» che arriva proprio dal Bosforo: «Un mercato con molta più domanda – dice – soprattutto per quanto riguarda una varietà particolarmente apprezzata dal consumo turco, il Baldo». I dati più recenti risalgono ai primi di novembre: delle 25.693 tonnellate esportate nei Paesi extracomunitari, 11.830 (contro le 1.116 dello stesso periodo del 2013) hanno preso la direzione verso il paese di Erdogan. La Turchia in questo momento guida la classifica dei paesi extraeuropei dove il cereale italiano viene esportato; al secondo e terzo posto, molto distanziati, la Svizzera con 2539 tonnellate, e gli Usa con 2038. Per effetto della richiesta la quotazione del Baldo, sulle piazze di Vercelli, Novara, Mortara e Pavia, ha raggiunto i 558 euro/tonnellata. Euricom, il maggior gruppo italiano del settore industriale risiero, 460 milioni il fatturato consolidato, 400 dipendenti, stabilimenti in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, una filiale a Cuba e una società commerciale in Brasile, esporta oltre l’80 per cento della materia prima lavorata. Ancora Francese: «Stiamo assistendo a un momento favorevole dei mercati, sia grazie alla Turchia sia al rafforzamento del dollaro. Ma non bastano questi spunti per risolvere i problemi della risicoltura italiana. Bene il Baldo, che appartiene ai risi di stirpe Japonica. Ma resta immutata la grave situazione degli Indica, i risi da export, sui quali pesa la forte concorrenza del cereale proveniente dai paesi del Sudest asiatico, favoriti dagli accordi con l’Ue che hanno stabilito l’ingresso del riso lavorato e semilavorato a dazio zero. Concessioni accordate con l’intento di aumentare il Pil di quei Paesi meno avanzati come Cambogia e Myanmar consentendo loro una maggiore disponibilità finanziaria per acquistare tecnologia prodotta dai Paesi europei».
Insomma, il riso diventato merce di scambio. «La richiesta di applicare la clausola di salvaguardia – prosegue Francese – da parte del nostro Governo per bloccare l’import straniero e ripristinare le tariffe doganali, fino a oggi non è andata avanti. Anzi, inoltrata nel mese di luglio, a Bruxelles ha incontrato un fuoco di sbarramento: l’Italia è stata invitata a rivedere la struttura della richiesta, per formalizzarla con nuove modalità e in termini più particolareggiati. Questo ”compito” è stato fatto. Tutti gli schieramenti politici italiani, ministro delle Politiche Agricole in testa, sono con noi. Ma ora si deve fare un passo successivo: il Ministero dello sviluppo economico, cui spetta l’iniziativa, dovrebbe organizzare al più presto una riunione con i funzionari dell’Unione Europea per sbloccare la situazione, altrimenti c’è il rischio che la richiesta rimanga lettera morta».
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