Il gelso e il baco Quando il passato diventa futuro

di Gianfranco Quaglia

C’è stato un tempo in cui la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco da seta appartenevano all’economia rurale e quando non erano primarie integravano i redditi. Ne è testimone la storia nella pianura padana, dove il gelso ebbe grande impulso durante il Rinascimento ad opera di Ludovico il Moro che diede spazio alla bachicoltura, tanto che l’albero nel dialetto lombardo diventò il “muron”. Ma a poco a poco questa tradizione secolare, importata dall’Asia, si è andata perdendo sino quasi a estinguersi. Adesso diventa attuale con alcuni progetti specifici, come quello promosso dall’Università di Torino in collaborazione con alcune aziende agricole. Si chiama “Gelso-net-Filiera agroalimentare del gelso: frutto – foraggio-bachicoltura” finanziato dalla Regione Piemonte con un importo di 625 milioni di euro, nell’ambito del Programma di sviluppo rurale 2014-2020. Nasce in un’ottica di “circular agricolture” e vuole lanciare la filiera agroindustriale del gelso da frutto e da foglia, in connessione con le filiere zootecniche di produzione del baco da seta e della coniglicoltura. Il progetto triennale è sviluppato dai ricercatori del Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari e dal Dipartimento scienze veterinarie. Il gruppo dell’Università è coordinato dalla professoressa Laura Gasco: “La produzione dei sorosi (i frutti) del gelso che in passato rappresentavano in Italia un prodotto secondario, è oggi un elemento su cui si può fondare un’approfondita rivisitazione dell’intera filiera in chiave moderna. Un tempo in Piemonte il gelso era coltivato per la produzione di foglie che costituivano alimento indispensabile per l’allevamento dei bachi. La sericoltura è oggi quasi scomparsa, benché abbia contribuito a fornire benessere e sostentamento per molte famiglie. Il nuovo progetto consente di riportare alla luce una produzione tradizionale come quella del baco da seta, valorizzando una nuova filiera rappresentata dai frutti e da una coniglicoltura più sostenibile”.

 

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