Sarà una risaia appena un po’ più larga, ma non a sufficienza per soddisfare le richieste dell’industria e dei consumatori. Per Mario Francese, presidente di Airi (Associazione industrie risiere italiane), riconfermato alla carica per la quarta volta consecutiva, lo sforzo degli agricoltori è ancora “troppo prudente”: da 227 mila e 229 ettari, contro i 242.500 richiesti. “La domanda si sta rivelando più alta dell’offerta, nel nostro paese e nel resto d’Europa. Negli ultimi nove anni nell’area UE i consumi sono aumentati del 9%, del 30 in Italia. Tutto ciò è dovuto al flusso di migranti che sta dando una spinta considerevole, all’aumento dei consumi etnici (ristoranti giapponesi in particolare), alle azioni di marketing che hanno promosso soprattutto i derivati del cereale, come gallette, riso soffiato, prodotti da prima colazione. Inoltre la tendenza salutistica, che orienta su scelte come questo cereale adatto ai celiaci”. Un mercato europeo con 450 milioni di consumatori, ai quali si aggiungono altri 60 del Regno Unito. Per coprire il fabbisogno si ricorre anche all’importazione.
La “fame di riso” ha avuto un balzo a partire dal lockdown 2020, quando l’effetto confinamento aveva spinto anche il mercato domestico ad approvvigionarsi di materie prime. Il crollo nel settore ho.re.ca. (i consumi negli alberghi, nei ristoranti e nei caffè) è stato complessivamente compensato dagli acquisti nel retail (supermercati, discount). C’è stata un’incetta di confezioni di riso, tanto da superare le vendite tradizionali. Con alcune curiosità, come sottolinea il direttore di Airi, Roberto Carriere: “Si è registrato un’impennata negli acquisti da parte della comunità cinese in Italia, che ha fatto scorte prima di chiudersi in casa”.
Ma il vero problema si chiama importazione. A fine 2021 scadrà il regolamento europeo della clausola di salvaguardia che ha bloccato l’importazione in UE del cereale dai Paesi meno avanzati (Cambogia e Myanmar) a dazio zero. Tutta la filiera risicola all’unisono ne chiede la proroga automatica. La limitazione riguarda il riso tipo Indica (consumato nell’Europa del Nord), non lo japonica (tipo da risotto) coltivato nell’ex Birmania. E’ stato definito “riso golpista” perché proveniente dal Paese dove sono in atto la dura repressione e la cancellazione dei diritti umani. Contro questo “via libera” i produttori del “triangolo d’oro” del riso Made in Italy chiedono un intervento risolutivo dell’UE.
Intanto si profilano nuovi orizzonti. Lo scorso anno è stato firmato il protocollo con la Cina per l’esportazione nel paese asiatico del nostro riso da risotto. Il presidente degli industriali risieri stima un potenziale di oltre 50 milioni di consumatori appartenenti alla classe medio-alta, in grado di apprezzare. “Accanto alle borse Vuitton e Gucci di cui vanno pazzi i cinesi – dice Francese – ci potrebbe stare benissimo anche un risotto Made in Italy”. Ma l’operazione deve essere ancora perfezionata, 17 nostre industrie si sono dette interessate. Il ministero delle Politiche Agricole ha trasmesso il dossier alla nostra ambasciata a Pechino per definire i particolari con le autorità doganali della Repubblica Cinese. E si sta già guardando anche all’India.
You must be logged in to post a comment Login