Adesso è facile dire: c’era da aspettarselo. E’ facile recriminare su quanto non è stato fatto e quanto c’è ancora molto da fare. Dopo l’ultimo tragico incidente stradale causato dall’impatto con un cinghiale (due morti e un ferito grave) in provincia di Novara, il tema del controllo della fauna selvatica torna di prepotente attualità. Per la verità non era mai stato dimenticato. Le organizzazioni agricole da anni lanciano l’allarme, peraltro inascoltato: non si tratta più soltanto di danni alle coltivazioni, ma di un pericolo pubblico. Il Piemonte, in particolare, è fra le regioni più esposte, non solo in Italia, ma in tutta Europa, a causa del suo territorio boscoso e popolato dagli ungulati che nell’ultimo decennio si sono moltiplicati a dismisura. Se in Italia si calcola siano due milioni i cinghiali, con danni per duecento milioni alle aziende agricole, nella regione subalpina si parla di una popolazione di un centinaio di migliaia. Inutile ora risalire alle cause e alle responsabilità di questo fenomeno. Bisogna agire con determinazione per evitare altre tragedie. Gli abbattimenti sono sporadici, serve un piano strategico nazionale che deve essere finanziato con interventi strutturali. Le ristretteze economiche hanno costretto la Regione Piemonte a non rifinanziare il fondo di solidarietà al quale gli agricoltori accedevano per il risarcimento dei danni. Ma, come si è visto, adesso non si tratta soltanto di un tema agricolo, è una vera e propria emergenza nazionale perché i cinghiali stanno invadendo anche le città. E il Piemonte chiede aiuto al Governo. Caccia e abbattimenti non sono sufficienti, occorre pensare a metodi alternativi, come le recinzioni elettriche o il controllo delle nascite attraverso la telecontraccezione, iniettando a distanza negli animali un vaccino con il fucile.
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