di Enrico Villa
Erano in quattrocentomila, tutte donne. Ogni anno a giugno in tradotta dall’Emilia e dal Veneto, ultimamente dal Meridione d’Italia, raggiungevano le stazioni di Novara, Pavia, Vercelli dove è rimasto il ricordo di un’epopea del riso finita con i diserbanti chimici. E poi, prima sui carri agricoli e negli anni più vicini a noi sugli autocarri raggiungevano per la monda del riso le grandi cascine molte delle quali costruite nel Seicento, più recentemente dopo l’Unità d’Italia. Nel 1906, un gruppo sparuto di locali sostenute dalle forestiere e dai movimenti politici dell’epoca ottennero il lavoro di otto ore in risaia, chini sull’acqua dall’alba al tramonto ad estirpare le malerbe che soffocavano la pianticina in crescita del riso. O anche riuscirono a convincere la sanità pubblica di Novara che il duro lavoro in risaia doveva essere regolato. Ora, fuor di retorica, l’unica traccia di quella importante fase storica è rappresentata da Riso Amaro di De Sanctis girato alla Veneria di Lignana con la Mangano, Vittorio Gasmann, Walter Chiari.
Oggi, molto meno di quattrocentomila, le loro figlie o nipoti sono rimaste alla terra, quando non hanno intrapreso la via dell’industria e dei servizi. E quelle che non se ne sono andate, specie le più giovani, sono talvolta diventate imprenditrici agricole, rispetto al passato con qualche prospettiva in più oltre all’agricoltura grazie alla politica agricole comune in settori sussidiari: agriturismo, assistenza professionale ai bambini e agli anziani, altri servizi sociali che richiedono una precisa formazione personale. Infatti – lo evidenzia la ricerca dell’Inea Istituto Nazionale di Economia Agraria, per cui sulla figura delle donne rurali hanno lavorato sei ricercatrici – le conduttrici agricole con la laurea sono ormai più del 6% e il 18% con diploma negli ultimi tempi di perito agrario in crescita veloce. Solo in Meridione – certificano l’Inea e le sei ricercatrici – lo 0,33% non ha una sufficiente formazione che con iniziative sul campo i provvedimenti previsti dalla nuova Pac e i piani di sviluppo rurale in questo momento all’esame dell’UE dovrebbe migliorare. Anche in risaia (ad esempio nel comprensorio di Vercelli e di Biella, ma è quasi uguale negli altri comprensori del riso) secondo la Coldiretti una azienda agricola su tre (il 28,9%) è rosa, come si diceva grazie all’allargamento delle attività che è stato recentemente riconosciuto anche nel ricalcolo del Pil.
Partendo dalle origini del femminile in agricoltura, intorno ai primi anni del Novecento e nei giorni delle battaglie per le otto ore e per una maggior salubrità nel lavoro in risaia, è sempre la Coldiretti che fa notare: in sessant’anni le donne in campagna hanno migliorato la loro immagine, hanno conquistato nuovi spazi legati a pieno titolo alla professionalità e alla partecipazione alla vita sociale. Questa valutazione, che rispecchia i fatti e le ultime statistiche, è stata formulata nei primi giorni di ottobre, in occasione del sessantennio di fondazione delle Donne Impresa. Negli stessi giorni in Vaticano si è aperto il sinodo sulla famiglia, per la Coltivatori Diretti un fondamento anche della moderna impresa di un’agricoltura che intenda davvero affrontare il futuro.
Ma per cogliere per intero l’evoluzione determinata dalla donna cosiddetta rurale, bisogna risalire all’immediato dopoguerra: ai tempi di Paolo Bonomi, di Renzo Franzo e degli altri leader che contribuirono a cambiare in senso sociale, oltre che economico, l’agricoltura, in particolare le terre del riso, con mutua, pensione, organizzazione in difesa delle produzioni. E tutto questo senza le donne coadiutrici in una azienda che adesso ha cambiato fisionomia, non sarebbe stato possibile. Alla ripresa dopo la guerra, che con il fascismo aveva comunque collocato la donna rurale in una posizione subordinata, fu necessario cambiare la cultura sociale dello stesso periodo giolittiano. Nei loro saggi Stefano Jacini, autore della inchiesta agraria e Sergio Pugliese negli anni Venti brillante economista della Bocconi, diedero spazio solo statistico alla donna. Allora la donna, o piegava la schiena in risaia o, a mano, sull’aia batteva il raccolto, al massimo 40 quintali per ettaro.
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