di Gianfranco Quaglia
Risposta più deludente non poteva arrivare da Bruxelles per i risicoltori italiani impegnati a contrastare l’importazione (ormai fuori controllo) di riso Japonica dal Myanmar. Il Commissario all’Agricoltura Janusz Wojciechowski (foto) dice che in sostanza non bisogna preoccuparsi. Non solo: “Nessun elemento sembra indicare che i prezzi italiani siano crollati. Inoltre non vi è a oggi alcun motivo per ritenere che le importazioni di riso Japonica rappresentino concorrenza sleale”. Insomma, una doccia fredda sulle aspettative della filiera risicola che – dopo aver bloccato l’arrivo di cereale tipo Indica dal Sudest asiatico con la clausola di salvaguardia – ha scoperto di essere stata “raggirata” perché dal Myanmar, Paese sotto accusa anche per il mancato rispetto dei diritti umani, arriva a valanga l’altra varietà di riso, la medesima prodotta in Italia.
La risposta del Commissario segue l’interrogazione che l’on. Susanna Ceccardi (Lega Nord) aveva presentato alla Commissione ponendo tre quesiti precisi: 1) Come intende porsi di fronte alla concorrenza sleale rappresentata dal riso di varietà Japonica? 2) Intende estendere la clausola di salvaguardia anche a questa varietà di riso europeo? 3) Con quali misure sosterrà i risicoltori italiani colpiti dagli effetti della concorrenza sleale del Sudest asiatico, dove la produzione a basso costo è possibile anche sacrificando diritti umani e norme ambientali e sanitarie?
Nella risposta Wojciechowski aggiunge: “La Commissione segue da vicino le importazioni di riso Japonica dal Myanmar e da altri paesi asiatici. Tali importazioni non sono oggetto delle misure di salvaguardia in vigore dal gennaio 2019 e sono effettivamente aumentate in modo sostanziale, mentre nel 2019 le esportazioni di Indica dal Myanmar sono diminuite in conseguenza delle suddette misure. Difatti le importazioni totali di riso lavorato provenienti dai paesi dell’accordo Eba (Tutto tranne le armi o Everything but arms) sono diminuite del 28% tra settembre 2019 e marzo 2020, rispetto allo stesso periodo della campagna precedente (da 243.588 tonn. a 175.954 tonn.). Tuttavia di recente le importazioni dai paesi Eba hanno cominciato a aumentare, probabilmente a causa dell’incremento della domanda provocato dalla crisi Covid-19. Al momento non sono in corso indagini sulle importazioni di Japonica”.
Prosegue il Commissario: “Al momento i dati di mercato non mostrano un impatto significativo delle attuali importazioni di riso Japonica supplementari dal Myanmar. Secondo la Commissione non esiste alcuna giustificazione per reintrodurre dazi sul riso Japonica proveniente da paesi Eba. Dal punto di vista giuridico, trattandosi di due prodotti di tipo diverso, non è possibile estendere le misure istituite nei confronti del riso Indica al riso Japonica. Le misure possono essere stabilite soltanto sulla base di una nuova inchiesta in grado di dimostrare che le importazioni di riso Japonica hanno causato o minacciato di causare gravi difficoltà ai produttori dell’Ue. La Commissione è pienamente consapevole del fatto che le importazioni da parte dei paesi Eba e di altri paesi che beneficiano di diverse concessioni commerciali possono competere sui mercati Ue con costi di produzione inferiori. Questo non costituisce tuttavia un motivo per adottare misure di sostegno per i produttori dell’Ue”.
Deluso, ma non sorpreso, Paolo Carrà, presidente di Ente Nazionale Risi, che ribatte con una battuta: “Difendiamoci da chi dovrebbe difenderci…Ci sentiamo presi in giro. Lo sappiamo benissimo che non si può applicare la clausola di salvaguardia, ricordarcelo sarebbe come dire che i risicoltori italiani non sono in grado di capire. Una risposta assurda per molti motivi: sottovaluta ancora una volta un problema molto delicato per la risicoltura europea e soprattutto prende come base di riferimento per una valutazione di mercato il periodo di lockdown dovuto alla crisi Covid-19 caratterizzato appunto da una condizione di emergenza e non di ordinarietà. Mentre da un lato l’Europa sta per imporre regole sempre più verdi all’agricoltura europea con vincoli di bilancio e tagli di spesa ancora una volta non si preoccupa della situazione politico-ambientale dei paesi che esportano verso l’UE. Creare un mondo verde nell’Ue non preoccupandosi delle condizioni ambientali di chi produce e poi esporta non è una buona politica. Occorrerebbe, come sottolineato durante il terzo European Rice Forum, introdurre per i paesi esportatori il rispetto della reciprocità di regole e adempimenti eco-sostenibili a garanzia del rispetto ambientale a livello globale”.
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