di Enrico Villa
L’agromafia, prodotto del malaffare che viene dai mercati generali delle grandi città e, in parte, dalla campagna, continua a diffondersi. L’aspetto inquietante è evidenziato dalla Commissione presieduta dal magistrato Giancarlo Caselli (ex antimafia) nonché dal Comitato Scientifico dell’’Osservatorio Agronomico, a suo tempo promosso da Coldiretti. In una nota comparsa sulle proprie pubblicazioni è chiarito: i poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere la tavola degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione, distruggendo la concorrenza e il libero mercato e soffocando l’imprenditoria onesta.
Le cifre richiamate da Coldiretti giustificano i timori: il volume d’affari complessivi annuale delle agromafie è salito a 24,5 miliardi di euro, con un balzo del 12,4 dell’ultimo anno. In buona parte, l’argine “alla delinquenza dei campi” è affare dei consumatori con due richieste principali: l’attenzione a quanto si acquista; e una maggior rigidità praticata dai servizi annonari (Comuni, Province, Regioni, Camere di Commercio) nel perseguire le frodi commerciali e le truffe.
A quanto pare, una predisposizione generica alla vigilanza su alimenti senza pecche già esiste. Nei giorni scorsi la Doxa per conto di Findomestic ha fatto un sondaggio pubblicato sulla rete web con questo esito: sette italiani su dieci sono disposti ad acquistare prodotti verdi ed etici purchè non costino oltre il 10% in più rispetto a quelli tradizionali. La Doxa così conclude: la pensano così quasi sette italiani su dieci. E soltanto l’% degli intervistati è disposto a pagare spese aggiuntive il 20% in più. Ma anche un italiano su quattro dichiara di non potere permettersi spese aggiuntive per prodotti verdi ed etici. Questo significa che ai produttori compete sempre la qualità che deve sempre essere garantita, ad esempio attraverso i prodotti di montagna certificati, i DOP, gli IGP. Tuttavia i prodotti di qualità che comprendono i prodotti sostenibili, possibilmente liberi dagli eccessivi formulati chimici. In proposito per il campione individuato dalla Doxa si pensa che i 25% riguardi la sostenibilità a proposito delle coltivazioni che consente uno stile di vita il quale si sta sempre più affermando in città e nelle campagne che necessariamente debbono produrre gli alimenti.
Però nell’ultimo biennio gli andamenti meteorologici non hanno facilitato la raccolta di frutta e di verdura. In Piemonte e in Italia lo scorso anno le produzioni di ortofrutta sono crollate del 12% complicate dalle sanzioni applicate alla Federazione Russa nonché con l’apertura di altri canali commerciali riguardando l’area mediterranea, gli Stati Unti e il Cile. Il contraccolpo si è avuto nella rarefazione della merce che sarebbe andata a vantaggio dei paesi come la Germania che, fra gli altri, avrebbero promulgato le sanzioni e nell’amento dei prezzi che hanno colpito la fedeltà dei consumatori soprattutto la frutta e la verdura che si producono con sensibili investimenti nelle province di Cuneo, Torino, Alessandria.
In particolare, il tempo inclemente “si è divorato” le pesche nettarine con una loro flessione del 15%, le mele che hanno arrestato la crescita delle coltivazioni, il kiwi seconda coltura italiana dopo Latina la quale si è ridotta del 30% a causa di una batteriosi. Nei mesi in cui l’actinidia si è affermata commercialmente grazie ai suoi pregi alimentari e vitamini, la coltivazione ha avuto una perdita del 30% che è stata ipotizzata una perdita del 40% in prospettiva. Ecco perché le università e gli istituti locali di ricerca del Piemonte e del Lazio si sono impegnati per eliminare le cause delle batteriose.
In questi stessi anni di danni e di ritorsioni striscianti le analisi di quanto danneggia si sono allargate, passando dalla frutta e dalla verdura ad altri generi di eccellenza che dovrebbero sempre qualificare le nostre esportazioni. In realtà l’ostacolo è stato rappresentato da accordi con il Canada e con il Giappone che sorprendentemente hanno favorito a livello globale l’agromafia, favorendo i falsi DOP e IGP. Nei paesi oggetto dei trattati, comprendendo anche la Federazione Russa, gli Usa, alcuni paesi della Cee i DOP e gli IGP sono stati inventati facendoli passare per made in Italy come è stato documentato in diversi convegni di categoria o che semplicemente sono stati dimenticati. Come è stato ricordato in una nota valutativa in Giappone non esisterebbero più gorgonzola, grana padano, mortadella di Bologna, taleggio confezionati “truffaldinamente” da importatori che artatamente attribuiscono la loro origine all’Italia. Il tentativo, in genere andato a buon fine, è una clamorosa frode commerciale che quanto meno dovrebbe essere perseguita dalle nostre autorità doganali e diplomatiche. Lo stesso accadrebbe per il vino d’Asti, il Barbaresco, il Barolo, il Brachetto d’Acqui, il Dolcetto d’Alba magari fabbricati in casa dai consumatori con le polverine. Anche questo prodotto del malaffare dell’alimentazione ai danni del consumatore si aggiunge agli oltre 25 miliardi di truffe dell’agromafia colpendo drammaticamente le nostre produzioni agricole e la corretta intermediazione mercantile.
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