In questo strano inverno siccitoso, con le temperature che superano anche i 20° e la polvere che si leva dai campi, fa specie imbattersi in risaie improvvisamente allagate. Un fuoriprogramma o un anticipo di stagione? No, semplicemente una tecnica agronomica sperimentata da qualche anno e che sta già dando risultati interessanti, in sintonia con le direttive della Commissione Europea che tende a premiare le zone umide, vocate all’abbattimento dei gas serra, all’agricoltura sostenibile e alla cura della fauna. Al vertice di Sairisi, progetto di Sai Platform che coinvolge alcuni partner mondiali (Ebro Foods, Euricom, Migros, Kellog, SP, altre riserie e 200 agricoltori del Nordovest) con il supporto tecnico del Centro Ricerche Ente Risi, quattro università, sono stati illustrati alcuni primi traguardi significativi, che vanno nell’ottica di ridurre l’emissione di Co2 entro il 2050. La risaia è una delle fonti che emettono metano e da tempo si chiede agli agricoltori di adottare tecniche che mitighino questo problema: Marco Romani, ricercatore Ente Risi, ha dichiarato che il primo test condotto in una risaia sperimentale, allagata durante la stagione invernale, ha ridotto del 36 per cento le emissioni quando le paglie residue del precedente raccolto sono state semisommerse; addirittura del 70% in completa sommersione. Romani non esulta, è prudente perché vuole che i risultati siano testati su più anni, ma il primo impatto è stato molto positivo. La risaia ecosostenibile è possibile: lo confermano anche alcuni agricoltori che hanno aderito alla Piattaforma Sairisi. Fra questi Adriano Bandi, che a Nicorvo (Pavia), ha trasformato i suoi campi in un laboratorio-habitat naturale per il ripopolamento della fauna; Claudio Melano, presidente della Cooperativa Cerealicola San Gaudenzio di Novara, che nella sua azienda pratica l’agricoltura di precisione con i droni, ha ridotto l’impatto ambientale e i costi di produzione.
You must be logged in to post a comment Login