Dacci oggi il nostro pane quotidiano (con etichetta)

Dacci oggi il nostro pane quotidiano (con etichetta)

di Enrico Villa

Una apprezzabile percentuale di immigrati gestisce forni che in Piemonte sono circa 2.500. Nulla di strano, essendo il pane un prodotto mediterraneo!

Il pane, importante quando le coltivazioni di grano tenero e duro sono rigogliose, è un perno dell’economia territoriale che nel Mare nostrum si dipana da quando l’umanità si sistemò sulle sue sponde. Non soltanto: le buone pagnotte sono state inserite alla base della piramide della dieta mediterranea. La forza che esso regala grazie agli idrocarburi, è degno di nota, così come la pasta ugualmente figlia del grano, del mais e della segale essenziali per combattere la sottonutrizione dell’umanità. L’importanza del pane, fra l’altro, è testimoniata dai tipi che in latitudini diverse si producono nel mondo: in tutto 20 qualità.

Ogni forma di pane in ogni angolo del globo ha una forte carica religiosa, di solidarietà sociale o nella letteratura e nella poesia, come Dante ricorda nella profezia di Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso, oppure Manzoni nei Promessi Sposi rievocando l’assalto a Milano dei forni regolati dagli editti spagnoli, avvenuta nel 1623 o anche Leonardo in Ultima Cena a Milano in Santa Maria delle Grazie In quel secolo, dopo la storia del pane nei secoli della civiltà egizia, dei greci e dei romani, il Medioevo secondo gli storici aveva cancellato l’importanza poetica e sociale del pane, relegandolo unicamente al ruolo economico delle messi promosse dagli ordini monastici che avevano allestito forni nei loro conventi, venendo incontro alle esigenze delle popolazioni sovente stremate dalla fame. Però l’arte dei fornai si impose nuovamente dopo, nell’epoca rinascimentale. E nuovamente il pane riassunse il significato religioso che si era supito, e che dopo la riforma conciliare cattolica aveva riacquistato valore sostenuto dalla Chiesa Cattolica o dai pittori, come l’affresco di Leonardo appunto in Santa Maria delle Grazie. Significato che è anche alla base della storia originaria sociale dell’agricoltura e che rimanda ai tanti episodi della esistenza di Gesù. Oppure i pani dipinti da Gaudenzio Ferrari negli affreschi in San Cristoforo di Vercelli, rivalutati nel 2018 ad opera della Regione Piemonte nella celebrazione del centenario del pittore valsesiano. Tuttavia, richiamando le storie della cultura cattolica, una per tutte: Cristo rimprovera San Pietro perché cammina sbocconcellando del pane e non si cura delle briciole preziose cadute per terra, invece tesoro da risparmiare.

Tutto questo retroterra storico e culturale che sul pane dovrebbe sempre essere tenuto presente, è stato indirettamente richiamato in occasione di un obbligo sul pane tassativamente fresco, scattato in Italia il 19 gennaio scorso. Infatti poco meno di due mesi fa è entrato in vigore il decreto 131/2018 che impone di distinguere in etichetta il pane fresco da quello conservato o di durabilità prolungata, con specifiche prescrizioni in merito alla denominazione e alla modalità di vendita. In termini diversi, spiegano alla Coltivatori Diretti: il pane che ha subito processi di surgelazione e congelamento o che contiene additivi chimici e conservanti non potrà più essere venduto per fresco e dovrà obbligatoriamente avere una etichetta con la scritta “conservato” o “a durabilità prolungata“. L’attenzione è stata subito proposta alla filiera del pane e si è aperto un intenso dibattito nell’interesse dei consumatori: sì alle etichette che però contengano anche la provenienza del grano (l’Italia ne importa soltanto il 50% del suo fabbisogno) per accertarne la provenienza non dal Canada e dagli Usa, bensì dal Piemonte, dalla Puglia e dalle altre zone specializzate meridionali. Il consumo del pane, condizionato dalla grande distribuzione, negli ultimi anni è diminuito del 10% e si aggira intorno ai 200 grammi pro capite al giorno, mentre nel 1861 anno della Unità italiana era di 1,1 chilogrammi. Inoltre, come hanno accertato le ultime statistiche su circa 15 milioni di euro di cibo sprecato, il 13% circa (al primo posto) è il pane che i consumatori in genere hanno preso l’abitudine di mangiare quello raffermo, o del giorno prima. In Italia le varie forme di pane sono la proiezione delle storie regionali che si intrecciano con gli eventi tramandati del passato. Nello scorso mese di maggio e ad ottobre di ogni anno nel contesto delle giornate del pane è stato tracciato un ulteriore identkit del prodotto che evidenzia il fatto che, nonostante tutto, il consumatore medio italiano del pane non può fare a meno. Infatti il 46% continua a consumare pane magari riducendone i quantitativi, qualche volta secondo un rapporto Censis 16 milioni di italiani hanno imparato a prepararsi il pane in casa e altre percentuali degli stessi vanno, più di un tempo, alla ricerca di prodotti senza glutine o biologico che in realtà alla fine significano 100 chilogrammi derivanti da grano duro e tenero (appunto 60 chilogrammi di pane). Il grano tenero è poi alla base di quasi tutti i tipi di pane che (dato di Italia a tavola ) hanno conservato la loro personalità storico-sociale o hanno conquistato a livello comunitario l’IGP o la DOP, se si esclude il grissino e la Biova piemontese, la Focaccia Genovese, la Michetta lombarda, il Pane Casareccio di Genzano, il Pane di Altamura, la Piadina Romagnola, i Taralli pugliesi, la Coppia Ferrarese. Nel loro impasto assai diverso alberga una sapienza che per millenni con la lievitazione, i pani della Tessaglia krimnitas , i 254 forni ai tempi dell’imperatore Traiano(dal 98 al 117 d.c. Cristo) hanno saputo conservare. E all’inizio di tutto, il grano duro e tenero senza i quali la fame popolare non sarebbe mai stata esorcizzata.

pane

You must be logged in to post a comment Login