di Enrico Villa.
Quasi come adesso, negli ultimi anni dell’Ottocento le risaie italiane coprivano 200 mila ettari in Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Calabria. Lo si desume da L’economia risicola italiana in cento anni di cronaca, di Enzo Busca e Nando Poltini (1961 edizione Ente Risi) rispettivamente direttore generale e dirigente della istituzione risicola. Poi cento anni fa, alla vigilia della Grande Guerra, l’interesse per il cereale anche per le rese basse (30,4 quintali per ettaro) si attestò su poco più di 145.000 ettari. Soltanto nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, vi fu una “vampata produttiva” con circa 164.000 ettari e 56,8 quintali per ettaro. Il risultato fu attribuito alla “battaglia nazionale del riso” (come quella del grano)cui partecipò in prima persona il capo del governo Benito Mussolini.
Ma nell’ettarato e nelle produzioni un tonfo drammatico fu registrato nel “biennio rosso 1919/1920” con scioperi spettacolari nelle campagne e per le conseguenze sociali ed economiche della Grande Guerra. Angelo Politi, direttore generale dell’Ente Risi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta dopo essere stato responsabile della sezione di Novara dell’ Ente e del suo Ufficio Studi soleva annotare: dopo il ricorso al pessimo riso degli alti comandi i quali lo inviavano in trincea, l’immagine del cereale era stata distrutta. Inoltre, migliaia di richiamati erano stati inviati al fronte dove tanti erano morti, per cui la risaia era accudita dalle donne. Nel 1920 “terre d’acqua” si era ridotta complessivamente a 112.000 ettari circa che nel migliore dei casi garantivano circa 40 quintali per ettaro. Queste statistiche sono richiamate da Paolo Moro, agricoltore e assessore all’agricoltura della Provincia di Pavia che nel 1958, nove anni prima dell’ammissione del riso quale prodotto da tutelare nell’ambito del Mercato Comune, scrisse L’importanza della risicoltura in Italia. La lunga prefazione al saggio di Moro era di Antonio Tarchetti, direttore de La Sesia di Vercelli e prestigiosa firma de Il Sole e dell’Informatore Agrario. Fra gli altri aspetti evidenziati da Tarchetti quello sociale dell’epoca: la risicoltura, come del resto oggi, era un autentico volano economico che, allora, assicurava l’occupazione a 400.000 lavoratori fissi o a tempo determinato.
Poi, come evidenzia Angelo Politi nel saggio Precipitevolmente i prezzi del riso cadon giù, fra il 1922 e il 1926 vi fu una ripresa del settore con prezzi fino a 150 lire al quintale, convenienti anche se raffrontati al corso odierno dell’euro. Il ritorno al bello del riso favorì anche lo sviluppo dell’industria risiera italiana, nel 1939 raccontato da Armando Gariboldi in modo così perfetto economicamente e tecnicamente da non avere avuto più eguali. Intanto Spagna (oggi parte importante della risicoltura dell’Unione Europea) e Egitto con prezzi assai inferiori, diventarono micidiali concorrenti del riso italiano. Per la seconda volta, dopo l’apertura del Canale di Suez e l’aggressione del riso del Sud Est asiatico, le quotazioni in Italia scesero a precipizio, appunto, nel 1930/31 attestandosi al livello fallimentare di 50/60/70 lire al quintale. Il dibattito a Novara, Vercelli che era appena diventata provincia, Milano e altrove fece assumere come modello le associazioni proposte dalla americana Grower Rice Association e dalla Camera di Commercio spagnola di Sueca. Fu istituito un Consorzio Nazionale Risicoltori con due articolazioni: Vercelli/Novara e Pavia/Milano. Ma non vi fu decollo per scarse adesioni e altrettanti scarsi finanziamenti. Al governo fu allora proposta la costituzione di un ente a spese interamente statali. Altro diniego tassativo. Per impulso di Aldo Rossini, novarese e primo presidente dell’Ente Risi e di altri fu ideata una istituzione non a spese dell’erario, ma grazie al “diritto di contratto” pagato sulle vendite, con ampi compiti operativi di ammasso del prodotto e di esportazione. La formula, simile alle istituzioni di adesso perorate dalla nuova Pac funzionò, tanto che a Mussolini fu attribuita l’esortazione: autodiscipinatevi e sarete salvi. Primo direttore generale dell’ente fu Anselmo Ramponi, personaggio mitico ma anche criticato. Nella primavera dello stesso anno della nascita dell’Ente Risi, 2 ottobre 1931, Tommaso Filippo Marinetti nel Manifesto della cucina scrisse che il riso doveva essere preferito alla pastasciutta. Autarchicamente la scelta, che oggi non si pone più, convinse e fu applaudita.
You must be logged in to post a comment Login