Un’azienda su cinque scomparsa, altre a rischio estinzione nei prossimi anni se non si pone un freno all’import di riso asiatico che potrebbe cancellare la risaia italiana. E non è solo un problema di carattere economico. Lo dicono in molti, ma a sottolinearlo con autorevolezza è il Massimo Gargano, presidente dell’Anbi (Associazione Nazionale Bonifiche Irrigazioni) cui fanno riferimento tutti i consorzi italiani (Est e Ovest Sesia, Baraggia compresi). Gargano, 56 anni, imprenditore agricolo ovicolo e viticolo, è stato riconfermato alla presidenza dell’Associazione.
Presidente, dal suo osservatorio diventato punto di riferimento per la difesa del territorio, come giudica questa battaglia?
«Partiamo dal Po. Se immaginamo che le acuqe del grande fiume debbano esere lette in unottica di rallentamento della corsa verso il mare, allora io credo che l’espressione del valore produttivo della risaia intesa come diga di pianura abbia un significato preciso. Quest’acqua gli agricoltori del Piemonte e della Lombardia non la consumano, ma la usano, e quest’acqua possiede anche una funzione alimentatrice della falda freatica attraverso la filtrazione naturale. E se penso al valore paesaggisto e turistico allora diventa ancora più forte da parte delle istituzioni e del Governo l’esigenza di valorizzare la nostra risicoltura».
In questa ottica il consumatore quanto è considerato?
«Si continua a ignorare che non riusciamo a essere competitivi perché, per fortuna, abbiamo sistemi di controlli avanzati. Ma ci siamo chiesti come aviene il diserbo delle infestanti in quelle risaie dalle quali proviene il prodotto che sta mettendo in crisi la nostra risicoltura? E come si gestisce là la sicurezza alimentare? Lo sappiamo che vengono utilizzati prodotti chimici da noi banditi ormai da decenni? E allora dobbiamo comunicare ai consumatori e all’Europa che la sicurezza alimentare è un valore».
Da quasi dieci anni lei è in prima linea nella difesa delle nostre risorse e del territorio…
«Diciamo che mi anima una grande passione. Questo paese deve competere non con l’acciaio o il carbone, ma con i valori che possiede. Soltanto una visione antica non riesce a leggerli: sono quelli ambientali e enogastronomici».
In questo contesto quale contributo ha dato l’Anbi e che cosa si propone per il futuro?
«Sono sufficienti alcune cifre: basti pensare che il 70 per cento della nostra produzione agroalimentare dipende dalle coltivazioni irrigue e che l’84% del made in Italy esportato è di provenienza irrigua. E che nel 2050 sul Pianeta Terra ci sarà un’esigenza di cibo pari al 70% in più. Ecco: per competere in questo mercato serve molta acqua, con la capacità di risparmiarla».
Usare maggiori risorse idriche risparmiandole? Come è possibile conciliare questo paradosso?
«Posso vantare qualche merito. Negli ultimi anni attraverso i consorzi di bonifica ho individuato collaborazioni intelligenti e insieme abbiamo realizzAto l’inesa Stato-Riducendo i costi. Intanto siamo riusciti a eliminare alcune voci, come i compensi ai componenti dei Cda dei consorzi di bonifica. Quest’ultimi sono stati ridimensionati, da 230 a 120 e così facnedo abbiamo aumentato l’efficienza. E poi abbiamo messo in campo il sistema Irriframe, un gioiello partito dall’Emilia Romagna e che stiamo spalmando su tutte le regioni. Una rete telematica coordinata dai satelliti che ci permette di monitorare in tempo reale le reali esigenze idriche di un terreno o di un’area, consentendo all’agricoltore di utilizzare l’acqua in modo mirato e senza sprechi. Su 1.600.000 ettari il risparmio è del 25%. Un sistema talmente utile che il Ministero delle Politiche Agricole ci aiuta a implementarlo, sino a presentarlo a Bruxelles come punto di forza in sede di contrattazione»
Sentinelle delle acque e del territorio. Qual è la risposta delle istituzioni?
«Noi non abbassiamo mai la guardia, vorrei ricordare gli oltre 3500 interventi immediatamente esecutivi, il piano di mitigazione del rischio idrogeologico».
E in questa fase di difficile reperimento delle risorse?
«Renzi si è insediato ponendosi due obiettivi: l’edilizia scolastica e le misure per fornteggiare il dissesto idrogeologico. Noi ci siamo. E sappiamo anche che i consorzi di bonifica nei prossimi mesi e anni diventeranno cruciali. Le riforme istituzionali in atto (abolizione delle Province e delle Comunità Montane) disegneranno uno scenario diverso, con due terminali (sindaco-presidenti Regioni). In questo contesto i consorzi assumeranno un ruolo determinante di presenza e difesa territoriale».
Dove le maggiori criticità operative?
«Sto pensando al Sud, dove la disoccupazione giovanile è al 64% rispetto alla media nazionale del 45. In alcune regioni i consorzi di bonifica sono stati sottratti al governo demcoratico da troppi anni e questa situazione ha generato ritardi in progetti e nell’esecuzione di opere di difesa. Il nostro impegno è rafforzare il dialogo per tornare a una democrazia compiuta».
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