In Italia, un milione di cinghiali secondo le stime zoologiche si sta trasformato in pericoloso veicolo per il batterio della peste suina, che potrebbe coinvolgere sia gli allevatori nazionali che europei. L’allarme di qualche settimana fa è arrivato sia da Confagricoltura che da Coldiretti. Infatti ad Eralde, ai confini del Belgio con la Francia, è stata rilevata una infezione di peste suina, una pandemia da non sottovalutare che potrebbe colpire gli allevamenti di suini come già era accaduto negli anni Ottanta.
Coldiretti, chiedendo un bollo di garanzia per prosciutti, insaccati e carne fresca aveva rilevato: l’Italia importa dal Belgio carne senza etichetta per oltre 52 milioni di Euro con grande minaccia per i nostri allevamenti. L’inarrestabile peste suina decima in pochi giorni gli animali, provocando un elevato danno patrimoniale, lasciando nel tempo tracce della pandemia nelle costruzioni rurali di ricovero dei suini e nel terreno dove gli animali grufolano, rivoltando le zolle e soprattutto di notte distruggendo i raccolti. Il quadro di misure è di pertinenza del ministero delle Politiche Agricole e del ministero della Sanità. La forte attenzione sulle conseguenze della peste suina era stata sviluppata con recenti articoli dall’Accademia dei Georgofili e dal Centro di Medicina Veterinaria di Berna.
Attraverso l’agronomo Giovanni Ballarini, i Georgofili avevano avvertito: cinghiali e peste suina africana alle porte. Il Centro Veterinario di Berna, interessandosi delle misure da adottare principalmente in Svizzera, era andato oltre nella descrizione: la colpa della temuta pandemia che esclude il contagio al genere umano, è da attribuire al batterio Aspivirus che si è diffuso in tutta l’Europa dell’est: Georgia, Armenia, Russia, Ucraina, Bielorussia, Lituania, Polonia, Lettonia, Estonia. Il batterio ci sarebbe stato regalato dalla globalizzazione attraverso il traffico aereo o l’incauto commercio di pancetta ammalata svoltosi nella Repubblica Ceca dove un dipendente ospedaliero avrebbe introdotto affettato ricavato da suini ammalati. L’analisi scientifica ha evidenziato un altro aspetto di grande attualità in seguito ai recenti disastri nell’Italia dell’Est e in provincia di Udine: la Natura si è vendicata travolgendo con forte vento le foreste a causa dell’aumento delle temperature, lo stesso aumento di alcuni gradi che favorisce la proliferazione dei cinghiali, appunto pericoloso veicolo di peste suina. Storicamente la diffusione della peste suina ha seguito il tracciato di quella che fu la peste nera medioevale (1347/1532) originata dalle discariche del tempo a cielo aperto con il batterio diffuso dalle pulci o da topi o della peste culminata a Londra (1665/1666), a Vienna nel 1679 e a Marsiglia (1720/1721). Alle prime avvisaglie della attuale peste suina, una autorevole rivista scientifica inglese ipotizzò che la pandemia riguardasse anche il genere umano e fosse alla base della diffusione di altre gravi infezioni, ma poi ogni allarme rientrò con questa conferma inoppugnabile sorretta dai fatti e dalle ricerche scientifiche: la PSA (peste suina africana) riguarda solamente gli animali. E ogni precauzione anche riguardante i cinghiali, deve ugualmente essere attuata con scrupolo proprio per evitare il contagio e la pandemia.
Infatti, se si dovessero disattendere le indicazioni dei nostri ministeri delle Politiche Agricole e della Sanità nonché del Centro di Medicina Veterinaria di Berna nell’occhio del ciclone in Italia rimarrebbero esclusivamente le aziende nazionali dalle quali industrialmente provengono i prosciutti e tanti altri prodotti che figurano nei nostri frigoriferi e sulla nostra tavola. Secondo gli ultimi censimenti, le aziende che anche per i cinghiali infetti corrono un rischio mortale, sono circa 25 mila che assicurano il lavoro a centinaia di addetti. Anche secondo la Fao e l’Efsa che ha avviato controlli severi, il parco animali complessivo è di cerca 90 milioni di suini da cui occorre tenere lontano il virus che si annida nei mangimi e in altro cibo rifiutato dalle persone non sufficientemente controllati, e per questo allo scopo di evitare un possibile disastro. Da queste stesse aziende, infatti, quotidianamente escono gli alimenti in Italia e in Europa assai popolari come anche documentano i consumi pro capite. Secondo la Fao gli italiani consumano prosciutti e diversi manicaretti di maiale nella misura di 37 chilogrammi. Invece nella Ue il record è raggiunto dai tedeschi con 49,8 chilogrammi pro capite, mentre per un eventuale raffronto negli Usa il consumo per persona è di 30,4 chilogrammi. Una possibile moria, di conseguenza, altererebbe pesantemente i conti del comparto, colpendo prima di tutto le eccellenze dei prosciutti e dei salumi, invece da proteggere con una rassicurante etichetta di origine, oltretutto capace di scongiurare l’effetto cinghiale, già importante per quanto il milione di animali assilla i produttori per i danni alle coltivazioni e per la presenza degli animali nelle città in cerca di cibo e sulle strade, purtroppo causa di gravi incidenti notturni.
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