Bamboo, l’erba gigante che rende dopo cinque anni

Bamboo, l’erba gigante che rende dopo cinque anni

di Enrico Villa

Il bamboo gigante, con coltivazioni nelle province di Alessandria e di Asti, merita l’attenzione di una azione della Borsa Valori di Milano: bisogna lasciarlo riposare e attendere dopo cinque anni il primo reddito sicuro. In una intervista con questo paradosso borsistico sull’ erba gigante proveniente dall’Oriente, ecco la presentazione di Fabrizio Peci operante in Emilia e presidente del C.I.B.I, Consorzio del bamboo italiano. Alla phyllostachy edulis, questo il suo nome botanico con 1.500 varietà e potente assorbitore ecologico di anidride carbonica, martedì 17 settembre sarà dedicata una giornata mondiale, non decisa da una istituzione internazionale ma da un gruppo di cultori appassionati del bamboo gigante che ne hanno fatto una ragione di reddito, contestualmente sviluppando una insistente campagna pubblicitaria e di marketing alla americana, ancora assai rara nel mondo agricolo nazionale. Di questo acciaio vegetale per la sua solidità di impiego si discute da qualche anno, quando fu introdotto nella Penisola fino a diventare nell’ambito delle Regioni Italiane e della Unione Europea il tema, però non ancora accolto dai bandi, per i programmi comunitari e regionali di sviluppo rurale.

In parte, è andata come per la canapa ridiventata legittima con la legge del 2016 nonché con l’invito di coltivazione agli agricoltori. Solo che la differenza consiste per la canapa con una tradizione risalente all’Ottocento e ai primi decenni del ventesimo secolo, mentre in Italia e in Europa il bamboo gigante non ha un passato, essendo arrivato dall’Estremo Oriente anche come erba infestante, pronta a dilagare se mancano i freni biologici e agronomici. La Regione Piemonte lo scorso anno il 17 giugno ha costituito una commissione di saggi contro i vegetali probabilmente dannosi anche perché piovuti secondo vie un po’ misteriose sul territorio regionale, ed ha inserito una varietà di bamboo gigante in una lista nera.

bambooContemporaneamente si è sviluppato un dibattito serrato a favore e contro questo acciaio vegetale al quale ha partecipato l’agronomo Mario Alessandro Rosato che sotto il titolo delle sue analisi (il bamboo gigante e la bolla speculativa) non ha per nulla assolto l’erba gigante. Rosato, con il suo lavoro scientifico nel 20013 premiato da The Economist e dai media americani, ha adombrato la possibilità di esiti truffaldini riferendosi alle coinvolgenti campagne di marketing e pubblicitarie, ed ha preso a base uno studio della Camera di Commercio di Novara sul mais. In sintesi: il mais renderebbe più del bamboo sui tempi brevi, ed è quindi sconsigliabile a quanti, non agricoltori professionali ma dilettanti, attribuiscono rese miracolose all’erba gigante, nella pianta coltivata alta alcuni metri. L’agronomo Rosato nelle sue relazioni precisa anche che il bamboo non produce legno ma qualche cosa di diverso e che, pertanto, per la sua coltivazione non sarebbero applicabili le norme dei regolamenti forestali, mentre il vegetale, come in Itali e in Europa, resiste a temperature invernali al di sotto dei 12 gradi. Ecco perché il bamboo gigante è diffuso come materiale da costruzione e creativo in Cina, Taiwan, Tailandia, Giappone e adesso anche in Italia. Attualmente in Europa le foreste di bamboo occuperebbero una superficie di 1600 ettari, mentre nella repubblica cinese coprono una estensione di 10 mila ettari. Fra i favorevoli alla specifica coltivazione – anche riguardante le Università e i centri di ricerca nonché sostenute da massicce campagne di pubblicità e di marketing che forniscono kit riservati ai coltivatori improvvisati – si annoverano anche diversi agronomi. Fra questi Massimo Somaschino che sul bamboo gigante ha scritto un libro con tutte le istruzioni per la coltivazione, o altri tecnici operanti in provincia di Treviso dopo viaggi di formazione in Gana dove le foreste di legno (secondo l’agronomo Mario Alessandro Rosato scientificamente appunto non lo è) sono una realtà importante.

Nello scorso mese di maggio con un articolo di Maria Chiara Voci, in occasione del Festival del Cinema di Venezia, il Sole 24 ore ha titolato: bamboo e castagno sostituiranno acciaio e cemento. Il quotidiano economico ha informato che all’Arsenale è appena stata realizzata una costruzione in bamboo, e che i progettisti hanno scelto la solida erba gigante per le loro creatività. Il riferimento è molto interessante perché con il legno delle Dolomiti e il legno africano gli architetti hanno stretto una alleanza, consolidando le basi per trarre dal bamboo una infinità di oggetti: dalle bacchette per il riso come usano gli orientali ai rivestimenti di edifici o alla alimentazione. Infatti il germoglio di bamboo, con sapore simile a quello degli asparagi, è ricco di vitamine e di altre sostanze nutritive che stanno sempre più insinuandosi nella cucina italiana ed europea. Un aiuto è venuto dall’Estremo Oriente, ormai di casa per la nostra economia, sempre più protesa verso la Cina e la Corea e gli altri paesi dell’area. A Milano ogni giorno arrivano 2 tonnellate di germogli freschi, o sotto vuoto e lessati, importati dall’Estremo Oriente. Quello che sta accadendo e ancor più succederà con le coltivazioni, sembrerebbe coerente con la mission del Consorzio Bambu Italia, e cioè: promuovere e valorizzare il bamboo italiano presso le varie filiere commerciali di legno, carta, alimentare, energetico, tessile, del beverage. Forse sarà così che la bolla speculativa cui allude l’esperto Mario Alessandro Rosato si sgonfierà e che una nuova coltivazione crescerà accanto a quelle tradizionali, già in atto in Italia ed in Europa.

 

 

You must be logged in to post a comment Login