di Enrico Villa
Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868/1907), alessandrino appartenente a facoltosa famiglia contadina, completò dopo studi durati tredici anni il quadro di denuncia sociale Quarto Stato, oggi esposto al museo milanese di Arte Moderna. Eravamo in pieno periodo del premier cuneese Giovanni Giolitti (1842/1928) che si sarebbe poi opposto all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondale e che, rispetto ai suoi predecessori, aveva una visione diversa dei rapporti fra borghesia e lavoratori della campagna, quindi anche della cooperazione.
Fino alla metà del XIX secolo, per gli storici della materia la classe governante si era occupata poco di cooperazione nonostante le aperture politiche offerte dallo statuto di Carlo Alberto il 4 marzo 1848. Ed erano anche gli anni delle influenze inglesi sulla necessità della unione dei lavoratori per affrontare direttamente il mercato con la istituzione delle Associazioni di Mutualità e le Società operaie come già dal Cinquecento aveva predicato Tommaso Moro(1478/1630), filosofo ed economista poi diventato cancelliere della Corona Inglese, santo cattolico e anglicano, e altri fra i quali Erasmo da Rotterdam (1466/1536).
Ed era poi il tempo dei messaggi che provenivano dalla Francia e dalla Germania che anche con la cooperazione avevano avviato la rivoluzione industriale che tanto aveva affascinato il liberale Camillo Cavour(1810/1861). Il lavoro, che non era ancora stato regolato e che nel 1906 trovò una regola di 8 ore grazie alla lotta delle mondariso su indicazioni del medico novarese Cantelli, soltanto dopo la conclusione del conflitto mondiale, trovò un assetto legislativo. Eravamo 99 anni fa, con la promulgazione della legge 196/1917 di cui fra un anno ricorrerà il centenario. Forse anche stimolato da Pellizza da Volpedo e da Angelo Morbelli, casalese nato nel 1853 e scomparso a Milano nel 1919, entrambi alle fatiche agricole e alla monda del riso dedicarono quadri come Per ottanta centesimi esposto alla Pinacoteca Borgogna di Vercelli. Originariamente catalogati come divisionisti nel corso della loro esistenza pittorica divennero sociali come Gli ambasciatori della fame nel 1901 di Pellizza da Volpedo o Fiumana sempre di Pellizza, dipinto fra il 1893 e il 1898. Egli nei suoi scritti sostenne che arte e lavoro sono complementari e vanno visti assieme.
Come un fiore sbocciato all’improvviso anche per vincere la carestia che assillava soprattutto i contadini, come le latterie agordine, dal 1900 al 1921 da 2000 le cooperative in gran parte agricole e mutualistiche divennero 21.500. In parte cattoliche create nel Trentino, governato da Franceco Giuseppe e dalla casa degli Asburgo(1830/1916), da religiosi e in parte laiche. Tutte su modello svedese, avevano compiti principali: vendere prodotti agricoli come il latte o il burro, o soccorrere socialmente i contadini indigenti che, perduto il lavoro, non ce la facevano più ad affrontare l’esistenza come tanto tempo dopo il regista Olmi rappresentò efficamente in Albero degli zoccoli. Comunque le premesse storiche e culturali sembrano necessarie per cogliere il senso del movimento cooperativistico odierno, nato nel 1893, riportato con diversi articoli alla attenzione dell’opinione pubblica e del mondo agricolo. Infatti, dopo avere nominata nel 2016 quale presidente della Fondazione Campagna Amica il sociologo Carlin Petrini, Coldiretti ha chiamato il magistrato Gherardo Colombo alla presidenza della Unione Europea delle Cooperative con 6000 soci e 4000 società cooperative aderenti. Il dottor Colombo, magistrato di Cassazione, è stato uno dei protagonisti di mani pulite e ha svolto le indagini per individuare i colpevoli dell’omicidio del commercialista milanese Giorgio Ambrosoli. Breve scarno commento di Gherardo Colombo:.. il mio impegno nell’ottica della difesa della legalità e delle regole. Il mio ruolo in Ue Coop sarà quello di garantire i valori che contraddistinguono un modello di vera cooperazione in grado di dare un contributo reale alla soluzione dei problemi del Paese.
Le allusioni comprese nelle considerazioni di Colombo al welfare e alla migrazione con gli ultimi incidenti attribuiti in Puglia al caporalato, richiamano le condizioni della cooperazione che nella sua storia ha registrato fallimenti come già accadde alla prima cooperazione di Rochdal, in Inghilterra, nel 1833 con chiusura nel 1835, e che per la prima volta fallì appena due anni dopo la sua fondazione, o come il Piemonte con San Giovanni Bosco che si dimostrò solida terra della cooperazione sociale fin dal 1854 quando, proprio per neutralizzare gli effetti di una carestia agricola e del rincaro dei prezzi, fu istituito a Torino il Magazzino di Previdenza. Qui la merce di prima necessità era acquistata dal pubblico a prezzi calmierati più convenienti di quelli proposti dal mercato.
In realtà lo slancio dello spirito cooperativistico si ritrova anche nelle vicende dei protagonisti storici di terre d’acqua che si estendeva nelle province di Novara (Vercelli ripromossa come provincia nel 1927) e nella provincia di Alessandria. La stessa costruzione e istituzione dell’Associazione Ovest Sesia del 1853 è il frutto di solidarietà fra contadini e titolari di terreni produttivi. Ma un altro capolavoro istituzionale riuscì all’ingegnere genovese Vincenzo Ricci (1851/1912) che trasferitosi in risaia, dalla scheda ufficiale del Senato definito appartenente al “gruppo di sinistra”, fondò prima la Associazione fra gli agricoltori del Vercellese, quindi contribuì alla fondazione della Stazione di risicoltura per gli studi sul brusone, malattia che aggredisce la pianta del riso, ancora oggi lotta in atto dopo più di un secolo.
Nella foto: Per ottanta centesimi di Angelo Morbelli, al Museo Borgogna di Vercelli
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