di Enrico Villa
Il 20 maggio nella sala del Consiglio della Camera di Commercio di Novara, 133 imprese del comparto turistico e della ristorazione sono state insignite del diploma Ospitalità Italiana. Il riconoscimento, riservato alla nostra ristorazione, punto di riferimento nel mondo, è stato costituito nel 1997 dalle Camere di Commercio Italiane e sostenuto dallo Isnart (Istituto nazionale per il turismo) in realtà controllato dagli enti camerali, nonché dalle Regioni e dalle Province.
In tutto l’azione di promozione è stata estesa nel frattempo in 91 province e nelle regioni italiane che lo evidenziano con le apposite schede illustrative dell’Unione delle Camere di Commercio. Esse agiscono in una cinquantina di paesi esteri dove l’ospitalità italiana cerca di imporsi nelle strutture alberghiere. La curva statistica si è impennata nel 1998. Dal 2009 la certificazione accordata dalle Camere di Commercio è estesa a migliaia di ristoranti nel Mondo con il rispetto di uno specifico disciplinare. L’operazione per affrontare i continenti della Terra in modo consistente, fino dall’inizio è stata sostenuta da Confagricoltura, Coldiretti, Cia tutte ugualmente interessate a stroncare l’agropirateria (Sole 24 ore dello scorso 12 giugno) che costa annualmente 60 miliardi alla agricoltura italiana, facendo perdere 300 mila posti di lavoro. Ospitalità Italiana è quindi uno degli antidoti alla agropirateria.
Il marchio Ospitalità Italiana da un punto di vista internazionale concorre con altrettanti simboli relativi all’agroalimentare Dop/IGP ed è stato istituito con marchi analoghi in Francia, Svizzera, Portogallo, Germania. In questi paesi, anche con l’ausilio del Gambero Rosso e della De Agostini di Novara, l’Ospitalità Italiana si è imposta con oltre il 30% nell’area dell’Europa Occidentale, con oltre il 21% negli Usa, con il 21% in Asia e Oceania, con oltre il 14% in America Latina, con più del 13% nell’Est Europa, nel Medio Oriente e in Africa.
I Cavalli di battaglia gastronomici DOP/IGP per spuntarla sui concorrenti stranieri con primari hotel, ristoranti, agriturismo, camping e altre strutture istituzionalizzate, sono una decina: Aceto Balsamico di Modena (69,9%), Grana Padano (50,5%), Gorgonzola (57%), Prosciutto di Parma (52,5 %), Parmigiano Reggiano (49%), Mozzarella di Bufala (46%), Taleggio (35%), Pecorino Romano (29,5%), Prosciutto di San Daniele (28%), Mortadella di Bologna (21%)Mancano piatti a base di riso e curiosità, nel Novarese una sola locanda è chiamata del riso che figura nella insegna. Purtroppo però il Sole 24 Ore con un articolo di Alessandro Marzo Magno evidenzia che l’80% del cibo italiano non è fatto in Italia, elencando comportamenti truffaldini in questi anni più volte elencati daColdiretti : paste nominate Milano e Sanremo vendute come italiane ma prodotte a Dubai, Espumante Garibaldi australiano, Prisecco, il nocciolato Nudossi e non nutella prodotta ad Alba ma a Dresda, la polenta Croazia con il Camborzola , e in realtà il made in Germania presentato come italiano. Il successo è tale -commenta il Sole 24 0re – che qualcuno ha pensato anche di imitare i ristoranti italiani: la più diffusa catena di locali italiani nel Mondo, Vapiano, fondata nel 2002 simile al marchio di Ospitalità Italiana, conta 200 ristoranti in 33 paesi dei cinque continenti , e continuerà ad aprire in futuro. Peccato che proprietari, dirigenti e anche buona parte dei prodotti, siano rigorosamente tedeschi.
Indubbiamente, è una spina nel fianco nel sistema della Ospitalità Italiana che potrebbe fermare la corsa nel mondo dei nostri ristoranti e del nostro cibo d’élite dove durante queste vacanze estive avremmo speso pro-capite 744 euro, il 7% meno del 2017. Non soltanto. Il recente riassetto governativo ha attribuito al ministero delle Politiche Agricole anche il ministero del Turismo con il ragionamento che è turismo quanto consumiamo, frutto delle tradizioni territoriali che, appunto con il made in Italy, dovrebbero imporsi nel mondo ad opera dell’Unione delle Camere di Commercio, dei nostri alberghi e ristoranti, dei ristoratori stellati. Confagricoltura piemontese ha appena rilevato che anche il Monferrato con capoluoghi Asti, Casale, Alba, Cuneo, terre di vini e di gastronomia, è appena diventato un polmone turistico di rilievo con frequentatori europei occidentali e dell’est che lo hanno scoperto attraverso numerose manifestazioni, appunto principalmente Vinitaly di Verona. Una volta di più la comunicazione ha segnato un punto a vantaggio. Per non vanificarlo, sia in Monferrato che altrove in Italia e nel mondo, dovrà essere percorsa fino in fondo la strada incominciata nel 1937, ossia 81 anni fa, con la prima riforma alberghiera basata sul sistema dei punti riferiti ai servizi e al buon cibo, invenzione dei cuochi di eccezione. Le riforme sono poi intervenute con la legge n.245 del 19 ottobre 1990 che ha istituito l’Enit e modifiche verso la fine degli anni Duemila.
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