di Gianfranco Quaglia
Il 26 luglio di tre anni fa, in silenzio, ci lasciava Sebastiano Vassalli, lo scrittore della “Chimera”, vincitore dello Strega, del Campiello e designato alla candidatura del Nobel per la Letteratura. Il silenzio fu il segno distintivo della sua vita e a ricordarcelo, proprio in questi giorni, è la staticità della campagna che lui aveva scelto come habitat naturale, laboratorio di spunti e confronti. La sua dimora, la cascina Marangana abbracciata dal riso che sta maturando, è rimasta un simbolo di quel fervore appartato e intenso che ha contraddistinto l’incessante produzione letteraria di Vassalli. Per lui la risaia era un inferno diventato paradiso, così la definì lo scrittore sottolineando la metamorfosi (dai risaioli del ‘600 alle mondine sino all’avvento della tecnologia) di un mondo che non appartiene più al passato, ma gli era entrato nel corpo e nell’anima, lui nato in Liguria e approdato al mare a quadretti del Novarese. Un mondo che amava profondamente e ne esaltava le peculiarità: il ritorno degli aironi, la presenza degli ibis del Nilo a portata d’occhio dalle sue finestre, segni di un’agricoltura sostenibile voluta dall’uomo che ha avvertito l’urgenza di porre un freno alla chimica e girare l’interruttore.
Dalla Chimera a Terre Selvagge a Terre d’Acque, l’atto d’amore di Sebastiano Vassalli per il mondo dei campi rimane forte e infinito. E lo tradusse nei simboli e nelle dediche: come il monumento alla zanzara che installò nel cortile della sua casa, alla Marangana. Quell’insetto così fastidioso, osteggiato e sterminato in tutti i modi possibili, per lo scrittore era diventato un amico, il segno dell’equilibrio della natura, l’ultimo resistente ai cambiamenti.
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