di Enrico Villa
E’ forse venuto il tempo dei progetti di filiera per la carne e per il grano, così evitando le esportazioni massicce in Italia per approvvigionarsi di cibo. Il ministero delle Politiche agricole e Forestali nell’autunno scorso ha promulgato l’ultimo bando, mettendo a disposizione 260 mila euro con un unico consistente paletto: le coltivazioni sono finanziate fino a 55 mila ettari. Il rimanente va finanziato con mezzi propri, non perdendo mai di vista la funzionalità delle filiere che hanno soprattutto uno scopo: che garantisce il conagronomicamente la coltivazione, anche tenendo conto delle esigenze primarie della industria di trasformazione e della sicurezza dei consumatori. Infatti un progetto di filiera ha l’obbligo di non eccedere nei preparati della chimica i quali sempre più insospettiscono gli acquirenti.
L’ultimo banco di prova, riguarda il grano del Sud d’Italia, indispensabile per la produzione delle paste che nel nostro paese sono consumate intorno ai 27/28 chilogrammi pro capite. Trattando di questo specifico tema le categorie agricole annotano che un pacco di pasta su nove è confezionato con farine italiane mentre i rimanenti 8 pacchi hanno origine straniera. Questo rapporto lede il principio del made in Italy che connota una campagna di Coldiretti e di sue consociate, in particolare la Fattoria Italiana cui sono appena state dedicate esposizioni significative a Roma e ai Torino. In proposito, ha sottolineato Bruno Rivarossa, vice delegato confederale, che cosa può essere meglio di un villaggio contadino per far conoscere la vera agricoltura e i veri contadini.
Ma la vera agricoltura e i veri contadini sono ancor più conosciuti e verso di loro è aumentata la fiducia sapendo quali siano gli ingredienti di base utilizzati nei progetti di coltivazione: un vero patto fra agricoltura, industria e commercio in Italia anche avversato da piccoli gruppi i quali perseguono la assoluta libertà di coltivazione. Fra tutti, soffermiamoci sul grano da pasta e, appunto, sulla pasta di cui gli italiani sono forti consumatori. In Puglia e in altre regioni meridionali si stanno imponendo i contratti di coltivazione frequentemente sollecitati da primarie industrie pastarie, come per esempio la Divella. Questa ha aperto le sue strutture produttive ai progetti di coltivazione, garantendo a prezzi accettabili il prodotto agricolo e il loro ritiro. I disciplinari che regolano i contratti di coltivazione, prevedono anche la continua assistenza agronomica da personale qualificato e la messa al bando di eccessivi fitofarmaci. L’accordo, come nel caso del Gruppo Casillo di Bari, va oltre prevedendo 300 milioni di grano tenero all’anno per la panificazione, oltre 300 milioni di grano duro biologico utilizzabile per la pasta. Un contratto come questo, della durata di tre anni con una prevista proroga a 5 anni, sostiene le imprese delle coltivazioni biologiche le quali nel nostro paese sono circa 73 mila che coprono 1.800 ettari circa con un incremento annuo del 20% circa.
Il comparto specifico è in movimento, come è evidenziato con soddisfazione da Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti: per contratti di coltivazione sono stati investiti 240 milioni di euro che hanno riguardato 5000 imprese. Queste coltivano circa 65.000 ettari che farebbero prevedere un incremento di 40% di grano duro nel prossimo triennio.
Tuttavia in questo specifico contesto dei progetti di coltivazione, un riferimento preciso è rappresentato dalla Barilla per cui si contano diversi perfezionati contratti di coltivazione, con prese di posizione a favore dei consumatori e contro i fitofarmaci, come nel caso del glifosato, diserbante totale usato in tutto il mondo nelle coltivazioni e contro il verde dei giardini, sospettato di essere cancerogeno. La Barilla, in realtà, avrebbe messo al bando il glifosato che sarebbe usato dalla coltivazione del grano canadese, per questo motivo non più acquistato per confezionare paste italiane. E questo è il commento di Coldiretti tramite il suo presidente: La scelta di Barilla è una buona notizia perché dimostra la capacità di una azienda di rispondere alle preoccupazioni dei consumatori del nostro Paese che chiedono pasta con grano italiano ma anche di sostenere l’economia e l’occupazione sul territorio contro le delocalizzazioni.
Dalle parole ai fatti di Barilla, che a Toronto tempo fa attraverso i suoi dirigenti ha annunciato di sospendere contratti di acquisto di grano canadese. Diverso potrebbe essere l’arrivo di grano ucraino e dalla Russia per cui non esisterebbero garanzie riguardanti il glifosato.
Dalle parole ai fatti anche per una rivoluzione del progetto di filiera riguardante la cane bovina, suina, ovina. Attualmente il nostro approvvigionamento è di circa il 55%, mentre nei prossimi cinque anni il parco bovini dovrebbe toccare 125 mila animali con circa 4.200 allevatori. I contratti di allevamento, che anche riguardano i prati e la produzione di mais per i mangimi, potrebbero costare un po’ di più. I sondaggi, secondo i consumatori, sarebbero disposi a caricare la spesa con queste percentuali: dal 5% al 32% circa in più con una crescita fino al 20%. Però con una maggiore asserita sicurezza e qualità che i contratti di allevamento, o di coltivazione potrebbero dare, come già sta accadendo in USA e in qualche paese del nord europeo.
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