Il cibo da gourmet servito nel barachin

di Gianfranco Quaglia

Carlin Petrini, che non ha bisogno di biglietto da visita, come al solito va dritto al cuore e al punto: “L’ho detto al mio amico John Elkann, non dimenticarti mai del barachin!”. 

Il barachin? Sì, quel recipiente che gli operai la mattina si portavano in fabbrica, il portavivande nel quale mogli e mamme avevano collocato il cibo del mezzogiorno, oggi si direbbe pausa pranzo, ai tempi in cui alla Fiat e in tutti gli altri posti di lavoro non esistevano le mense. In lombardia si chiama “schiscetta”, in ogni caso simbolo di un’epoca che non deve ritornare ma neppure può essere dimenticata. Il “barachin” richiamato dal fondatore di Slow Food, piomba come un monito nel bel mezzo di due manifestazioni che hanno al centro il cibo e le comunità della terra. La prima: Bocuse d’or, la sfida degli chef europei che si svolge a Torino; l’altra è il Salone del Gusto-Terra Madre in autunno. Carlin Petrini ha evocato i tempi del “barachin”, durante un dialogo pubblico con lo chef Crippa di Alba. Ma è andato oltre: quel simbolo dei lavoratori che ogni mattina arrivano da tutto il Piemonte per varcare i cancelli di Fiat Mirafiori viene riproposto non solo come omaggio alla memoria, ma come mezzo per dare significato a un evento, quello di Terra Madre, che riunisce cinquemila delegati da tutto il pianeta ed esalta il valore e la forza della comunità contadina. Migliaia di barachin provvisti di cibo saranno infatti distribuiti ad altrettanti anziani torinesi e piemontesi che in quei giorni di festa a Torino (20-24 settembre) non potranno partecipare all’evento perché impossibilitati dalle loro condizioni fisiche e di spostamento. Quel contenitore, assurto a elemento costitutivo dell’identità operaia (si diceva “è un barachin di Agnelli”) diventa veicolo di diffusione del cibo da gourmet. Con un carico di sapienzialità – come dice Petrini – tramandato da mogli e madri addette alla preparazione del pranzo da asporto.

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