“Il riso italiano non è una commodity”. Questo il titolo dell’intervento del presidente dell’Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà, che ha partecipato all’audizione di fronte alla Commissione agricoltura del Parlamento europeo sull’etichettatura d’origine. Carrà ha Innanzitutto evidenziato la leadership produttiva dell’Italia in campo risicolo, con il 52,20% di produzione, lo 0,2% della produzione mondiale di questo cereale e che in Italia non è considerato una commodity.
«Le denominazioni di alcune varietà, come Carnaroli, Arborio e Vialone Nano – ha sottolineato infatti – costituiscono quasi dei marchi commerciali e sono un veicolo di promozione del made in Ue, perché, come ha potuto saggiare la Commissione europea, la produzione risicola italiana è ecosostenibile e fornisce al consumatore un prodotto salutare, mentre le importazioni di riso non soddisfano sempre questi requisiti». Per contro, ha rilevato, non esistono garanzie di reciprocità, come ha rilevato il forum europeo del 23 gennaio scorso, dove il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha chiesto, tra l’altro, che esista una efficace reciprocità di regole nell’utilizzo dei prodotti fitosanitari. In particolare, ha detto il presidente dell’Ente, il Basmati spesso contiene fungicidi vietati in Europa e tracce di ogm sono state riscontrate in risi d’importazione statunitensi. Una buona risposta a questi problemi è rappresentata – ha aggiunto – dal marchio “RISO ITALIANO” che viene rilasciato dall’Ente Nazionale Risi.
Un altro aspetto toccato durante l’audizione è stato l’incremento delle importazioni (+50% quelle a dazio zero in dieci anni) che non soddisfa i presupposti della cooperazione per cui sono riconosciute le concessioni tariffarie: il 25% del riso importato proviene da paesi che non rispettano i diritti delle popolazioni locali. Anche su questo punto, è stato ribadito, si è intervenuti con la richiesta di attivare la clausola di salvaguardia ai Paesi Meno Avanzati.
«Per queste ragioni gli agricoltori italiani invocano tutele contro l’Italian sounding» ha concluso, spiegando che la maggioranza del mondo agricolo ritiene che l’etichettatura d’origine obbligatoria possa valorizzare il riso italiano ed europeo e che l’industria risiera propende invece per l’etichettatura volontaria.
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