di Enrico Villa
Alla agro piraterie apparterrebbero ormai diversi paesi associati alla Ue negli ultimi anni: Ungheria, Polonia, paesi baltici. Secondo gli accertamenti effettuati dalle organizzazioni agricole, nell’elenco compaiono sempre più le mozzarelle di bufala e di mucca, il Parmigiano taroccato, i nomi di fantasia relativi al Gorgonzola che con questo formaggio autentico hanno poco da spartire. Il danno arrecato alla nostra agricoltura è intorno a decine di migliaia di euro che corrispondono agli 83 milioni annui di chilogrammi di prodotto smerciato.
Lo scenario che ha precisi riferimenti internazionali, potrebbe diventare ancora più cupo e preoccupante dopo i successi conseguiti dai formaggi italiani i quali sono prodotti nella Pianura Padana e lungo la penisola: esportazioni raddoppiate nel 2017 riguardante ben 51 formaggi nazionali, più di quelli francesi, appunto tra i quali il Parmigiano Reggiano truccato come Parmesan all’estero, la mozzarella di bufala, il Grana Padano, il Pecorino Romano e Sardo, il Gorgonzola prodotto in particolare nel Novarese e in Piemonte. L’anno scorso, stando ai calcoli riferiti ai dati dell’Istat, il 23% in più rispetto al passato hanno raggiunto la Germania, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti il cui presidente Trump ha preannunciato restrizioni all’export per lasciare maggior spazio ai latticini e ai semilavorati degli States. Anche la Cina sta diventando un mercato promettente, con un incremento calcolato nella percentuale del 35%. Il contesto dei prodotti agroalimentari esportati con le crescenti destinazioni internazionali, è più ampio: zafferano, miele, olio extravergine, vino, aceto balsamico, riso, pasta prodotti con “cereali di base” provenienti da nazioni dove sono ammessi fitofarmaci non consentiti in Italia.
Per controllare la massa non taroccata dei formaggi e dei nostri altri prodotti non falsificati occorre, di conseguenza, una vigilanza più severa, comunemente affidata ai ministeri della Sanità e dell’Agricoltura, agli specialisti dell’Arma dei Carabinieri, alle Dogane ma anche ai laboratori territoriali delle Camere di Commercio, delle Università che sempre più hanno attrezzato i loro Dipartimenti di chimica degli alimenti, di chimica analitica e di farmacia. Fra queste figura la Università del Piemonte Orientale con facoltà a Vercelli, Novara, Alessandria. La fondazione dell’Ateneo, che risale a 20 anni fa (celebrazione a Vercelli il 2 febbraio) e guidato dal magnifico rettore professor Cesare Emanuel, ha dedicato ampio spazio alla chimica nella sua prima edizione della rivista scientifica e di divulgazione extra(campus) nel quale sono ribaditi i tre pilastri interconnessi: cibo, ambiente, salute. A questi stessi tre pilastri si riferisce anche il progetto della riforma della Pac (progetto della agricoltura comunitaria) che dovrebbe scattare nel 2020 e che è sostanzialmente giudicato positivamente dall’’economista agrario professor Dario Casati in riferimento particolare al riso (Università di Milano, Il Risicoltore, gennaio 2018, numero LXI).
Ma ritornando alla Upo e alle sue iniziative accademiche, fra le quali la pubblicazione semestrale extra(campus), è nelle sue pagine evidenziato il binomio qualità e sicurezza del nostro cibo che deriva dalla chimica degli alimenti. L’articolo, che si riferisce al binomio richiamato, è di Marco Arlorio, Matteo Bordiga, Jean Daniel Coisson, Cristiano Gaino, Monica Locatelli, Fabiano Travaglia. Gli estensori richiamano il principio universale di Ippocrate secondo il quale il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo. Evidentemente, questo non è oggi assolutamente possibile con i prodotti taroccati che hanno invaso i mercati internazionali. Però, secondo gli autori, non soltanto il cibo tradizionale bensì anche il food design (gli scarti di lavorazione buoni e ancora utilizzabili) la tracciabilità e l’autentificazione degli alimenti sui quali insistono con leggi ad hoc le categorie agricole, assai importanti in Piemonte nonché nelle province di Novara e di Vercelli. Il consumatore – è il giudizio di questo gruppo di ricercatori – è così difeso dalle frodi e dalla ricerca degli ingredienti nascosti…che possono scatenare reazioni avverse, fra cui le allergie. Il progetto di ricerca del gruppo è condotto in collaborazione con Politecnico di Torino, Trustech e Eltek.
Tuttavia, le sofisticazioni alimentari sono continuamente in agguato, come il professor Maurizio Aceto, docente di chimica analitica presso il Dipartimento di Scienze e innovazioni tecnologiche, evidenzia. E Aceto annota anche: in tempi più vicini a noi, nel XIX secolo, il chimico tedesco Fredrick Acccum forniva probabilmente il primo resoconto scritto sulla frode culinaria: in esso l’autore descrive alcune pratiche fraudolente in uso a Londra, come l’aggiunta di allume e gesso alla farina da parte dei fornai per rendere le pagnotte più bianche, oppure di segatura per renderle più pesanti; come l’aggiunta di stricnina alla birra per rendere il gusto più amaro risparmiando sul luppolo; o come, dulcis in fundo, l’uso di sali di mercurio, rame o piombo per impartire colori brillanti ai dolci rendendoli così più attrattivi per i bambini. I metalli elencati sono adesso oggetto di indagine sistematica per combattere l’inquinamento.
I cibi taroccati, come quelli richiamati dal professor Maurizio Aceto e descritti dal chimico tedesco di un secolo fa Fredrick Accum, non allungano l’esistenza come gli inquinanti di oggi e, invece, aiutano come i cosiddetti alimenti funzionali (riso pigmentato, gorgonzola e cioccolato) offerti dal nostro territorio, in questo breve elenco ricordati dal professor Gian Carlo Avanzi direttore del Dipartimento di medicina traslazionale, e che focalizzano un altro principio fondamentale: a causa degli alimenti taroccati l’economia territoriale rischia in modo permanente di essere sempre fragile e debole. Con i suoi docenti e con la sistematica formazione dei suoi studenti anche l’Università del Piemonte Orientale garantisce il proprio contributo per invertire il corso pericoloso delle frodi, quotidianamente, analizzato da un punto di vista economico, dalle economiste Eliana Baici e Cinzia Mainini.
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