di Enrico Villa
Le castagne e i marroni fino al Novecento hanno ricoperto un ruolo sociale, che è anche diventato tradizione e mito. Quello che adesso si tramanda della castagna e dei suoi boschi, i quali ricoprono colline e montagne fino a 1000 metri di altitudine, hanno occupato una posizione di rilievo per la popolazione, in genere dedicata alla agricoltura ad un livello di subordinazione del lavoro e di povertà. Anche Stefano Jacini, autore della inchiesta agraria all’indomani della Unità d’Italia, nelle sue analisi assume la castagna proprio come riferimento. E nella seconda parte dell’ Ottocento fu emanato un decreto per regolare l’accesso ai castagneti e per la raccolta del frutto. In realtà le radici dell’ atteggiamento del potere giuridico si perdono nel Medioevo, come per l’Editto di Rotari del 643.
Infatti, i rapporti tra popolazione e governanti in genere erano molto diversi. La castagna, ma soprattutto la sua farina, erano fondamentali per l’alimentazione umana, in ogni caso più del frumento. L’importanza è anche evidenziata dalle statistiche. Da molto tempo in Italia, il 45% circa di castagneti ricopriva la Penisola, in particolare in Calabria, Toscana, Piemonte. E i raccolti di castagne, poi da trasformare in alimento e in farina, erano considerati eccezionali quando superavano la normalità. Infatti, fu così negli anni 1951/1952, in piena epoca della ricostruzione post-bellica quando furono rilevate queste cifre statistiche: produzione media di 9,38 quintali per ettaro e una raccolta nazionale intorno a 1.692.000 quintali a livello nazionale. In quegli anni, la castagna e il marrone (nome dato dai tedeschi) acquisirono sempre più valore in pasticceria, tanto che oggi i marroni caramellati, nel periodo delle feste natalizie e di fine d’anno sono diventati sempre più importanti.
Stando agli scritti e ai racconti delle nostre campagne, soprattutto la Toscana tramanda vicende, anche di sfruttamento come diremmo oggi, dove come protagonisti prevalgono i lavoratori in cerca di occupazione e le castagne. In provincia di Lucca, per la precisione a Castelnuovo, nell’ultimo giovedì di settembre e il primo di ottobre il “mercato delle lombarde” per distinguere le lavoratrici le quali per tradizione – come le mondariso – provenivano dalle province di Modena e Reggio Emilia. Qui a Castelnuovo di Garfagnana le “lombarde” contrattavano per l’assunzione, finalizzata alla raccolta delle castagne, sia la paga giornaliera, il salario complessivo del lavoro prestato, l’inizio e la fine della prestazione. L’impegno degli addetti era massimo anche per la essiccatura delle castagne. Gli addetti ai forni non dovevano mai lasciare la loro incombenza e, pertanto, assai di frequente ritornavano a casa e in famiglia solo alla domenica.
Una piccola parte di castagne utilizzare per la famiglia era anche prelevata dall’essiccatoio per cui in dialetto lucchese l’operazione era detta “si va a levar la volpe”. La evoluzione tecnologica, anche presente nella lavorazione delle castagne, ha introdotto la surgelazione delle castagne oppure nel caso di Vagli Sotto, sempre in provincia di Lucca, è stato finanziato un essiccatoio ad energia solare il quale però non ha dato i risultati auspicati. Infatti non si è tenuto conto che per essiccatoi di questo tipo occorre forte energia solare che tuttavia in novembre non è naturalmente più disponibile. Altre strutture sono state progettate nell’area delle Cinque Terre. Quale sia il “tesoretto” alquanto ridotto rappresentato dal frutto è anche stato analizzato in termini fisico-chimico. Mario Buccianti in una sua analisi ha dato queste conferme: alla fine del 1900 per produrre un quintale di farina di castagne erano necessarie, in media, 36 ore di manodopera, aventi un costo pari all’80/90% del ricavato, ottenuto vendendo farina insaccata in contenitori di dimensioni varie al prezzo medi di 2 mila euro. Inoltre – è anche la precisazione – con l’essicazione delle castagne si riducono a circa un terzo del loro volume, cioè tre ettolitri di castagne producono un ettolitro di castagne secche. Le bucce di castagne rappresentano circa il 20% del peso totale.
La castagna e il marrone sono anche molto presenti negli antichi libri di medicina e in quelli più attuali di cosmesi e di medicina popolare. I medici medioevali assicuravano che acqua di lessatura di foglie e bucce di castagna erano basilari per combattere emicrania e gotta, mentre era utile mangiare castagne crude per dolori cardiaci o caldarroste per chi aveva affezioni alla milza. Inoltre il male di fegato era combattuto con castagne lesse, sminuzzate e mischiate con miele, e lo stesso valeva per i disturbi gastrici. Non solo. Le castagne mescolate a miele e sala avevano – così insegnavano i medici medioevali – effetti antirabbici a causa di morsi di cani, ed erano un portento contro la peste e per gli effetti antipiretici, non trascurando l’azione afrodisiaca e per contrastare la calvizie e la tigna. Presente nella cultura popolare, che giustifica adesso la tutela della castagna e la difesa dei castagneti, la medicina moderna non riconosce le proprietà terapeutiche della castagna, tuttavia ammettendo solo una sua proprietà benefica per gli sportivi, in quanto contenente potassio che riduce la fatica fisica.
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