Sarebbe piaciuto al nonno, Mario Maratelli, vedere la nipote Vittorina e la sua famiglia sull’aia di casa durante le operazioni di essiccazione della “creatura”, quel riso diverso da tutti gli altri che lui scoprì per caso nel campo, poi diventato un’icona nel panorma risicolo italiano. Il tempo ha cancellato quella manualità e da anni ormai nessuno più ricorre al rastrello per stendere e rivoltare il cereale appena trebbiato sull’aia del cascinale, esporlo al sole e attendere che il calore della giornata tolga l’uimidità in eccesso.
Invece è accaduto. La storia del riso Maratelli è senza fine. Vittorina e Augusto Maratelli lo sapevano quando tre anni fa decisero di rinverdirla attraverso la celebrazione del centenario della scoperta, merito di quel Mario che nel 1914 scorse una spiga diversa da tutte le altre: non pensò alla distruzione, ma ne fece un motivo d’orgoglio e dai semi nacque una nuova varietà.
A distanza di oltre un secolo gli eredi di quella intuizione stanno cercando di mantenere viva la testimonianza in campo ad Asigliano Vercellese. Un fazzoletto di terra, tutto seminato a Maratelli. L’idea di essiccare il prodotto sull’aia è scaturita dalla necessità: la famiglia Maratelli non dispone di un impianto di essiccazione e all’ultimo momento è venuta meno la disponibilità offerta da un altro agricoltore. Si è pensato di ricorrere agli antichi metodi naturali, in attesa che qualcuno si rendesse disponibile ad accogliere il riso in un impianto. Alla fine così è stato, ma un primo passaggio è avvenuto proprio nel cortile di casa adattato ad aia con alcuni teloni: il riso è stato scaricato e a sua volta steso con i rastrellim, piàù volte rivoltato per consentire una esposizione completa e uniforme. Così si è ripetuto il rito dell’essiccazione manuale, forse ancora fra i pochi in tutta la Pianura Padana. (g.f.q.)
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