di Gianfranco Quaglia
Quindicimila ettari di risaia cercansi per soddisfare le richieste di consumo. L’industria di trasformazione fa sentire la sua voce in anticipo rispetto alle semine, mandando un messaggio chiaro e forte ai risicoltori. Mario Francese, presidente di Airi (Associazione industria risiere italiane): “La tendenza del 2020 ci ha dimostrato che non solo in Italia, ma in tutta Europa la richiesta del riso è in costante aumento. L’Italia deve affrancarsi dalla dipendenza dell’importazione. Dal 2011 a oggi la disponibilità di riso coltivato nell’UE è diminuita del 10 per cento nonostante i consumi siano aumentati del 21% e l’export al di fuori dell’area comunitaria del 49%. questa crescita del fabbisgono ha dovuto forzatamente essere soddisfatta facendo ricorso a riso d’importazione, solo marginalmente in Italia, e che è quasi raddoppiato (+93%)”.
I quindicimila ettari in più auspicati dagli industriali dovrebbero portare la “Risaia Italia” a una superficie di 240 mila ettari. Con indicazioni precise sulle scelte varietali: “Chiediamo ai risicoltori una risposta coraggiosa razionale e non emotiva, per far sì che l’aumento dei consumi sia supportato sempre di più dal made in Italy. Insomma, preferenze colturali ragionate. Nel dettaglio: incrementare il Selenio per soddisfare la richiesta in crescita dei consumi etnici (sushi); il Centauro, varietà preferita per la seconda trasformazione in molti processi industriali. Ridimensionare in modo ragionevole i terreni investiti a tondo generico”.
Il profilo della “Risaia Italia 2021” tracciato dagli industriali evidenzia altri suggerimenti: attenzione a varietà come Loto, Ariete e similari caratterizzati da un costante andamento dei consumi; al Baldo & Company, che si confermano apprezzati sul mercato turco, valvola di sfogo delle nostre esportazioni. Senza dimenticare le varietà classiche e ricercate per i risotti (come Carnaroli e Arborio), che nel 2020 hanno riscosso un notevole gradimento. Infine il lungo B (Indica): il 75% dei consumi nella UE è coperto da quello di importazione, pertanto sarebbe necessario incrementare le semine di questa tipologia per aumentare il consumo di riso italiano, riducendo gradualmente la dipendenza di cereale proveniente dal Sudest asiatico. “Gli attuali 42 mila ettari – osserva Francese – appaiono insufficienti. Inascoltate sono state le nostre indicazioni dello scorso anno. Insomma, l’obiettivo crescita è una scelta obbligata, ma dipende non solo dall’industria, ma anche dai risicoltori. E’ il momento di credere nel riso, di dare fiducia a questo prodotto che ha sempre più estimatori. Nel 2020 ciò che è stato perso dalla ristorazione è stato guadagnato dal retail. Nella globalità, malgrado l’anno terribile, il settore non ha subito effetti negativi”.
Altri temi sul tavolo riguardano Brexit, clausola di salvaguardia, Cina. Pac. Francese: “L’intesa raggiunta tra UE e Uk, con l’esenzione di dazio solo per i prodotti originari dei rispettivi Paesi, consentirà di mantenere le nostre esportazioni. Intanto la filiera del riso sta già lavorando in sede comunitaria per evitare che, al cessare degli effetti della clausola di salvaguardia, possano nuovamente prodursi gravi effetti distorsivi per il mercato. Quanto alla Cina, dopo la firma dell’accordo che consentirebbe l’export del riso made in Italy, ora siamo in forte ritardo, speriamo nei prossimi mesi. La nuova Politica comune sarà fortemente influenzata dalla strategia green e dal Farm to Fork, ci saranno importanti risorse economiche per gli agricoltori legate a nuovi impegni ecologici. Sempre di più l’agricoltura dovrà ridurre la dipendenza di diserbanti e fertilizzanti. Il produttore sarà premiato se utilizzerà metodi sempre più sostenibili”.
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